Il Coronavirus ha creato tre milioni di nuovi poveri

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-17

Lo stop alle aziende pesa di più su precari, giovani e part-time. Un report della Fondazione Studi Consulenti del lavoro illustrato oggi da Isidoro Trovato sul Corriere della Sera spiega che si tratta dei dipendenti di aziende private, chiuse da oltre un mese e che hanno percepito l’ultimo stipendio all’inizio di marzo con la prospettiva di incassare il bonifico della cassa integrazione non prima di inizio maggio

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Il Coronavirus ha creato tre milioni di nuovi poveri. Mentre lo stop alle aziende pesa di più su precari, giovani e part-time. Un report della Fondazione Studi Consulenti del lavoro illustrato oggi da Isidoro Trovato sul Corriere della Sera spiega che si tratta dei dipendenti di aziende private, chiuse da oltre un mese e che hanno percepito l’ultimo stipendio all’inizio di marzo con la prospettiva di incassare il bonifico della cassa integrazione non prima di inizio maggio.

Il Coronavirus ha creato tre milioni di nuovi poveri

Si tratta di una fascia sociale che già viveva con un reddito non inferiore ai mille euro e non inferiore ai 1250, che permette una vita dignitosa se arriva lo stipendio ma non permette di mantenere una famiglia per due mesi (marzo e aprile). I primi pagamenti della Cassa Integrazione dovrebbero arrivare a maggio, perché bisogna fare i conti con 25 procedure diverse (quelle delle Regioni e delle province autonome) visto che nemmeno stavolta si è approfittato dell’emergenza per creare un ammortizzatore unico e valido per tutti. Spiega al quotidiano Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro:

La situazione sociale in Italia intanto sta assumendo contorni sempre più critici. La platea di indigenti si è ampliata. I sussidi che in questi giorni l’Inps sta pagando agli autonomi non bastano. Difficile pensare che con 600 euro artigiani, commercianti, imprenditori possano far fronte ai costi aziendali fissi delle loro attività. «Stiamo parlando di un segmento del Paese che vive dignitosamente di ciò che rimane loro dell’incasso giornaliero senza potere però accantonare. Quindi, ben vengano i 600 euro per poter sopravvivere in queste settimane. Ma il problema centrale di sistema rimane un altro»

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Coronavirus: tre milioni di nuovi poveri (Corriere della Sera, 17 aprile 2020)

Si riferisce a cosa ne sarà di loro quando sarà consentito di riaprire con le già previste limitazioni? «Esatto. Avranno di fronte intanto un mese di giugno carico di scadenze fiscali. E poi ci saranno i debiti accumulati in questi mesi da saldare. Avere creato presupposti per agevolare il credito è certamente meritorio; ora vedremo come reagirà il sistema bancario che dovrà essere più flessibile e disponibile in un momento come questo. Ma per risolvere i problemi degli imprenditori, bisognerebbe dotarli di un contributo a fondo perduto, che può arrivare solo dal contesto comunitario».

Lo stop alle aziende pesa di più su precari, giovani e part-time

In questo contesto non è difficile capire che lo stop alle aziende pesa di più su precari, giovani e lavoratori part-time, come spiega oggi Valentina Conte su Repubblica segnalando come giovani, precari, operai, apprendisti, contrattisti a termine, part-time, stranieri siano le categorie più colpite dalla crisi.

La presenza di queste categorie nei settori produttivi costretti allo stop per legge supera quella nei settori essenziali. Mentre il loro salario è di norma inferiore: in media di un terzo fino a meno della metà nelle fasce a bassa retribuzione. Ecco che la pandemia rischia di travolgere proprio i lavoratori più fragili, con carriere frammentate. Di peggiorare le disuguaglianze e accrescere sia i working poor – i lavoratori poveri – che l’instabilità occupazionale. Quanti tra questi conserveranno il posto nella fase due, quando si ripartirà?

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Le differenze di reddito tra chi lavora e chi no (La Repubblica, 17 aprile 2020)

Un’analisi della Direzione studi dell’Inps che usa i dati amministrativi relativi ai contratti – fonte Uniemens – dice che sulla carta – deroghe e smartworking esclusi – è fermo il 57% delle
imprese, circa 912 mila, perché non essenziali e il 48% dei lavoratori, poco più di 7 milioni.

In questo bacino si registrano le maggiori criticità. Non solo micro-durate nei contratti, ma buste paga molto leggere rispetto ai “colleghi” dei settori rimasti aperti: 13.716 euro medi annui contro 18.229 euro, un terzo in meno, e 26 settimane lavorate in media all’anno contro 32. Disparità ancora più evidenti nel decimo percentile, ovvero il 10% dei lavoratori con paga più bassa. Qui la differenza tra chi è in lockdown e un “essenziale” è tra 624 euro e 1.396 euro: meno della metà. In media, per questa fascia, un rapporto di lavoro dura 3 settimane nel settore chiuso contro le 5 dell’altro. In entrambi i casi la frammentazione della carriera è evidente, ma nel primo pesa ancor di più visto che quel lavoratore oggi è fermo.

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