I 19 documenti chiesti a una pmi per 15mila euro di prestito dal Fondo di Garanzia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-21

Le peripezie di una piccola impresa alla ricerca di un prestito di 15mila euro dal Fondo di Garanzia che permette di chiederne fino a 25mila

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In un articolo a firma di Dario Di Vico oggi il Corriere della Sera racconta le peripezie di una piccola impresa alla ricerca di un prestito di 15mila euro dal Fondo di Garanzia che permette di chiederne fino a 25mila. Nell’articolo si racconta di uno scambio di mail tra una piccola impresa, chiamata Piemmeì, e una banca.

Con una mail indirizzata alla propria banca, che ha base nel Centro Italia, una piccola azienda che per rispetto della privacy chiameremo Piemmeì invia la documentazione necessaria per richiedere un finanziamento coperto dal Fondo di garanzia. Aggiunge una preghiera di appuntamento, anche veloce, per presentare il tutto. La risposta è una doccia fredda per i titolari della Piemmel. La banca risponde indicando i documenti necessari per accendere il mutuo. In tutto abbiamo calcolato 12 adempimenti che a loro volta implicano almeno altre 7 documentazioni aggiuntive. Un labirinto di carte.

Si comincia chiedendo la copia degli ultimi due bilanci completi di nota integrativa, verbale di approvazione, ricevuta di deposito e dettaglio delle voci «crediti» e «debiti» commerciali e diversi. Siamo solo alla prima curva. Subito dopo, giustamente, si chiede il bilancio provvisorio al 31.12.2019 sotto forma di stato patrimoniale e conto economico. Ma nella riga successiva della mail si obbliga la Piemmeì a produrre il Durf, il Durc e il DM10. Il Durc sta per Documento Unico di Regolarità Contributiva, il Durf serve a documentare i contratti di appalto, il DM10 è il modello compilato dal datore di lavoro per denunciare all’Inps le retribuzioni mensili dei dipendenti. Appena il tempo di pigiare il tasto per andare a capo e la banca insiste e sollecita «la situazione aggiornata degli affidamenti in essere con altri istituti creditizi, completa di piani di ammortamento e indicazione di eventuali moratorie già concesse» (ma non può consultare la Centrale dei rischi?, ndr). Potrebbe bastare e invece no, la richiesta del rigo successivo è: «II dettaglio dei debiti tributari e documentazione attestante e eventuale concessione da parte dell’Erario di moratorie e rateizzazioni».

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Ma la storia non finisce qui: non si chiedono documenti prodotti dalle amministrazioni e dagli enti di controllo ma autocertificazioni da parte dell’impresa:

Si comincia dalla «liquidità disponibile» ovvero cassa e importo fidi non totalmente utilizzati (anche presso altri istituti). Subito dopo la Piemmei dovrà comunicare i ricavi ripartiti su base mensile aprile-dicembre 2020, relativi a fatture emesse prima dell’interruzione attività. Il passaggio successivo riguarda i costi da sostenere su base mensile aprile-dicembre 2020. Una cifra tonda? No, la banca chiede alla Pienunel di dettagliare i costi per: a) materie prime, sussidiarie e di consumo; b) servizi; godimento beni di terzi; stipendi e costi del personale; c) spese e oneri diversi di gestione inclusi oneri finanziari (impegni finanziari su cui non è stata richiesta la sospensione). Ma come fa una Srl che oggi non sa nemmeno se riusciva a riaprire i battenti a fornire alla banca previsioni per il 2020 che, per altro, se si rivelassero fallaci potrebbero avere anche conseguenze penali?

Alla fine l’azienda dovrà anche indicare alla banca «i debiti di fornitura su base mensile relativi a fatture pregresse da sostenere nei mesi aprile-dicembre 2020» (stessa considerazione di sopra). E al rigo successivo si richiedono «i piani di ammortamento dei finanziamenti in essere per i quali è stata chiesta la sospensione». E deve autocertificare anche «le scadenze fiscali (imposte, tasse e contributi) su base mensile aprile-dicembre 2020», e dulcis in fundo, «le moratorie fiscali (imposte, tasse e contributi) su base mensile aprile-dicembre 2020».

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