Cultura e scienze
Così gli oceani sono sommersi da un mare di plastica
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2015-02-13
Otto milioni di tonnellate di plastica sono finite in acqua nel 2010. Il motivo? Un sistema inefficiente di gestione dei rifiuti che produciamo
Che resta di tutta la plastica che abbiamo usato e buttato via nella nostra vita? Niente, neppure una reminiscenza. Una volta che la buttiamo nel cassonetto, ce ne dimentichiamo. Alcuni magari sperano che venga riciclata, altri semplicemente si accontentano di sapere che finirà in un discarica possibilmente molto lontana da casa loro. Questo nella migliore delle ipotesi, perché, come sanno bene i cittadini della Terra dei fuochi, a volte la plastica di scarto di lavorazioni industriali (assieme ai rifiuti tossici) viene nascosta in discariche abusive con gravi danni per la salute della popolazione e del territorio. Altre volte accade che i rifiuti finiscano in mare e che con il tempo si formino delle vere e proprie isole galleggianti composte da pezzi di plastica di vario tipo.
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SWIMMING IN A SEA OF PLASTIC
Il fenomeno è noto a scienziati e naturalisti da diversi anni, come è nota una delle più grandi aree dove si concentra la plastica che finisce negli oceani: la Great Pacific Garbage Patch.
Do you know where the Pacific Garbage Patches are? http://t.co/Juvfdp8x20 #marinedebris @NOAAdebris pic.twitter.com/SBAWJesgMY
— NOAA Clean Coasts (@noaacleancoasts) February 11, 2014
Fino ad ora però non si era mai tentato di quantificare quanta plastica finisca in mare ogni anno. Uno studio dal titolo “Plastic waste inputs from land into the ocean” condotto da Jenna Jambeck dell’University of Georgia e pubblicato oggi su Science ha calcolato il dato in base alla produzione industriale di materie plastiche, di rifiuti e del modo in cui vengono smaltiti quantifica quante tonnellate di plastica finiscano in mare. Il gruppo di ricerca guidato dalla Jambeck ed è giunto alla conclusione che, solo nel 2010, a fronte di una produzione di 270 milioni di tonnellate di plastica prodotte e di 275 milioni di rifiuti contenenti materiali plastici siano finite in mare circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. La cifra è stata calcolata tenendo conto della produzione di plastica dei 192 paesi costieri dell’Oceano Pacifico, dell’Atlantico, dell’Oceano Indiano, del Mediterraneo e del Mar Nero. Naturalmente non tutti i rifiuti finiscono in mare, anzi ci arriva solo una piccola percentuale di tutti i rifiuti prodotti annualmente.
Eppure quegli otto milioni di tonnellate equivalgono a cinque borse della spesa piene di plastica ogni 30 centimetri su tutte le coste del mondo. Secondo Jambeck nel 2025 la produzione annuale di rifiuti che finirà in mare sarà quasi il doppio di quella calcolata per il 2010, e in un calcolo complessivo entro 2025 sarà finita nei mari una quantità di rifiuti venti volte superiore a quella registrata nel 2010. Il paese che contribuisce di più alla marea di plastica nei mari è risultato essere la Cina, con circa 4 milioni di tonnellate di plastica finite nell’Oceano. Questo però non significa che la Cina sia il paese con la maggiore produzione pro-capite di rifiuti. Ad esempio gli USA (che si posizionano al ventesimo posto per quanto riguarda la quantità di plastica che finisce in mare) producono 2,6 kg di rifiuti per abitante, in Cina invece circa un kilo. La differenza la fa un sistema più efficiente di trattamento dei rifiuti (non necessariamente il riciclaggio che negli USA arriva appena al 9%) che impedisce che i materiali di scarto finiscano nei fiumi e di lì al mare. E non è solo un problema estetico, perché una volta in mare la plastica crea seri danni all’ecosistema marino: animali rimangono intrappolati nel groviglio di rifiuti oppure intossicati dalle sostanze tossiche delle quali è impregnata la plastica come è emerso da una ricerca del 2009 dal titolo: “Transport and release of chemicals from plastics to the environment and to wildlife“, un problema quest’ultimo oggetto di attenzione da parte degli studiosi da diversi anni.
CHE FINE FA QUEL MARE DI PLASTICA
Come è noto parte della plastica che finisce negli oceani e nei mari viene catturata dalle correnti oceaniche che creano enormi agglomerati di rifiuti che galleggiano in giro per il mondo. Ma a quanto pare quelle isole di plastica non rappresentano che una piccola percentuale dei rifiuti che finiscono negli oceani. Quindi la domanda è, dove finisce la maggior parte della plastica che “sparisce” nel mare? Uno studio del 2014 “Plastic debris in the open ocean” ha tentato di fornire alcune ipotesi in grado di spiegare come mai all’interno dei circoli di correnti oceaniche si trovi solo qualche decina di migliaia di tonnellate di plastica invece che i milioni di tonnellate (costituite per la maggior parte da pezzi di pochi millimetri) che ci si aspetta ci siano. La prima ipotesi è che naturalmente le stime sulla quantità di plastica che dovrebbe essere presente nei mari siano sbagliate per eccesso. Una seconda ipotesi è che la plastica che finisce in acqua prima o poi venga rigettata a riva, ma non si spiegherebbe come mai solo i frammenti più piccoli verrebbero sospinti sulle coste. Un’altra spiegazione potrebbe essere che, una volta all’interno delle grandi isole i rifiuti subiscano un processo di triturazione che li riduce in frammenti microscopici che non possono essere rilevati. Una terza ipotesi è che alcuni microorganismi abbiano colonizzato porzioni di rifiuti rendendoli più pesanti e quindi trascinandoli sul fondo dell’oceano. Ancora una volta però una teoria del genere non terrebbe conto che una volta sul fondo i microorganismi morirebbero “liberando” i rifiuti che dovrebbero tornare a galleggiare. Una teoria più suggestiva è che la plastica rimarrebbe intrappolata all’interno dei ghiacci delle calotte polari, ma non ci sono prove a sostegno di questa tesi. L’ipotesi più plausibile è che alcuni organismi marini, ad esempio il plankton (ma anche i pesci), abbiano iniziato a cibarsi dei frammenti di plastica. Se confermata questa teoria avrebbe come conseguenza che la plastica sta lentamente entrando anche nella catena alimentare umana con gravi conseguenze per la salute degli esseri umani. Al momento però non c’è modo per tenere traccia dei rifiuti che finiscono in mare, un progetto pilota è quello del sito Marine Debris che consente agli utenti di taggare le coordinate GPS dei rifiuti “provenienti” dal mare per consentirne la geolocalizzazione su una mappa.
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