Federico Arata: la storia del figlio dell’indagato alla corte di Giorgetti

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-04-20

Ha un contratto di consulenza con Palazzo Chigi firmato da Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Matteo Salvini. M5S all’attacco per campagna elettorale

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Federico Arata, figlio di Paolo, l’imprenditore ex deputato forzista indagato per corruzione insieme all’ideologo della flat tax Armando Siri, ha un contratto di consulenza con Palazzo Chigi firmato da Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Matteo Salvini. Nel clima da Torquemada spostate che il MoVimento 5 Stelle ha casualmente scatenato in concomitanza con l’avvicinarsi del voto alle elezioni europee, questo diventa un caso politico.

Federico Arata: il figlio dell’indagato alla corte di Giorgetti

Federico Arata lavora come “esperto” al Dipartimento di programmazione economica per Giorgetti, uomo forte del ministro dell’Interno, che, racconta oggi Repubblica, già si era avvalso dei servigi di questo architetto poliglotta (come da curriculum subito diffuso dalla Lega) per entrare in contatto con il guru dell’ultradestra americana Steve Bannon).

Arata jr dichiara: «Non ho mai lavorato con il sottosegretario a Palazzo Chigi. Il ruolo era in iter come consulente esterno per le mie competenze in ambito economico e internazionale». Il contratto è stato firmato, spedito alla Corte dei Conti per il visto e pure già registrato. Nelle intercettazioni  Paolo Arata, il faccendiere vicino al Carroccio che è al centro del Siri-gate, si sfoga al telefono con Manlio Nicastri, figlio del suo socio Vito Nicastri, a sua volta socio di Matteo Messina Denaro: «Io dal prossimo mese devo pagare… ogni mese sono 1015 mila euro, se mi va bene, da mettere lì… finché non riusciamo a ripristinare la tariffa effettiva, se ci riusciamo, perché non lo so se ci riesco, dipende… dipende… io ci provo, ci sto provando».

Le intercettazioni di Arata e Nicastri

Spiega oggi La Stampa che la «tariffa effettiva» da «ripristinare», oggetto dei tentativi del professore genovese è il cuore della questione, è la ragione che muove Arata a ignorare tutto – i precedenti penali del suo socio al 50 per cento, la confisca dei suoi beni, il fatto che l’imprenditore siciliano di Alcamo sia agli arresti domiciliari – e a spingere, a Roma, per sanare le posizioni degli impianti eolici entrati in esercizio un anno prima del 23 giugno 2016, data in cui era stato varato un decreto interministeriale sugli incentivi.

È lì la causa dell’interesse estremo di Arata per il suo concittadino Armando Siri, che si appoggia a lui per essere nominato sottosegretario del governo gialloverde. Arata lo vorrebbe al Mise, per non avere ostacoli nel varo di provvedimenti favorevoli ai suoi progetti. Poi Siri finirà alle Infrastrutture, posizione meno comoda per gli obiettivi di quello che gli inquirenti definiscono il «gruppo Arata-Nicastri», ma sempre nell’esecutivo.

Le intercettazioni effettuate in quel momento dalla Dia di Trapani per conto della Procura di Palermo, che indaga su Nicastri per concorso esterno in associazione mafiosa, rilanciano le relazioni e gli interessi economici che il prestanome del superlatitante Messina Denaro ha in comune con il docente universitario di Ecologia. E al tempo stesso mostrano l’iperattivismo di Arata sul fronte politico, a cominciare da quel riferimento a un «costo» di 30 mila euro affrontato per Siri.

Ieri, parlando con LaPresse, Federico ha detto di non aver mai lavorato per Palazzo Chigi in quanto l’incarico doveva ancora essere validato dalla Corte dei Conti

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