Elena Cattaneo e i pesticidi nell’agricoltura biologica

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-11-27

La scienziata e senatrice a vita torna sul dibattito relativo all’agricoltura bio e all’uso di pesticidi

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Elena Cattaneo pubblica oggi sul Messaggero un articolo sull’agricoltura biologica che riprende la polemica con Michele Serra su Repubblica sull’agricoltura biologica e sui pesticidi:

Oggi la narrazione del biologico teorizza, godendo di sponsor istituzionali, un ritorno al passato a “pesticidi zero”. Ma forse non tutti sanno che la stessa agricoltura biologica, quella del “ritorno alla natura”, di pesticidi ne fa un uso sistematico, elencandoli in appositi disciplinari. Essi, infatti, sono “microrganismi o sostanze chimiche (naturali e prodotte industrialmente) utilizzati in agricoltura per eliminare tutto ciò che danneggia le piante coltivate”. Lo ricorda l’Istituto Superiore di Sanità.

La contrapposizione tra pesticidi (o per meglio dire agrofarmaci) di sintesi e non di sintesi è vincente in termini di marketing, ma, in termini di sostenibilità, non è funzionale a evitare un maggior inquinamento. Il rame, ad esempio, uno dei più antichi, utilizzati e “naturali”pesticidi bio della storia, è un metallo pesante che inquina molto di più ed è molto più dannoso per uomini e animali di alcuni prodotti di sintesi con funzioni analoghe. Le evidenze scientifiche, infatti, ne dimostrano tossicità e persistenza nel suolo per tempi indefiniti. Il tanto demonizzato erbicida glifosato, ad esempio, ha un profilo tossicologico meno pericoloso.

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I pesticidi nelle acque: la rete di monitoraggio (Fonte: Ispra)

Quindi: l’agricoltura biologica, per cui il consumatore finale è disposto a pagare di più credendo di contribuire alla sostenibilità, usa anche pesticidi che inquinano e permangono nel terreno. Ipotizzare una massiccia conversione delle terre a biologico, per aumentare l’attuale 15,4% delle superfici coltivate in Italia, comporterebbe un consumo di suolo enormemente maggiore per avere rese paragonabili alle attuali. Senza contare che circa la metà dei terreni certificati bio (e riceventi sussidi come tali), ad oggi, è costituita da prati e pascoli nella cui gestione il biologico non si differenzia dal convenzionale.

Davvero questo è il modello del futuro da sovvenzionare? L’alternativa c’è ed è già“in campo”: è l’agricoltura integrata, degli imprenditori che innovano, che integra tutti gli strumenti di protezione delle colture (agronomici, fisici, biologici, chimici) secondo uno schema razionale per produrre quanto più possibile con le risorse disponibili usate nel modo più efficiente possibile. Un approccio tanto ragionevole e razionale da sembrare, di questi tempi,un’eresia.

Leggi sull’argomento: La risposta di Michele Serra a Elena Cattaneo

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