Banca Popolare di Vicenza e i timori di bail in

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-03-29

La fuga di depositi che la banca ha subito anche nel 2016 e che è proseguita nel corso del 2017 è dovuta alla paura che l’istituto venga salvato con i conti privati. Ma così la sua situazione si aggrava

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I conti della Banca Popolare di Vicenza affondano e l’indice Lcr (quello sulla liquidità) che per tutte le banche è stato fissato all’80% e che la Bce ha chiesto di elevare al 90% , grazie alle emissioni obbligazionarie con la garanzia dello stato era risalito al 112,8% ma a marzo è di nuovo peggiorato «quale conseguenza della significativa uscita della raccolta» per i timori di bail in. Quello che spaventa è la fuga di depositi che la banca ha subito anche nel 2016 e che è proseguita nel corso del 2017, con effetti sulla liquidità che hanno costretto lo scorso 23 marzo l’istituto a chiedere al Tesoro l’autorizzazione ad emettere nuove obbligazioni garantite per 2,2 miliardi di euro, dopo l’emissione di 3 miliardi di febbraio. Il calo di raccolta e impieghi (-8,8 miliardi di euro nel 2016) ha pesato sui ricavi contribuendo al crollo del risultato della gestione corrente (-90% a 32,6 milioni). La raccolta diretta è infatti scesa nel 2016 del 14,4%, a 18,8 miliardi di euro, risentendo degli “impatti reputazionali” legati alla crisi della Banca. Mentre la liquidità a breve, misurata dall’indicatore Lcr, è crollata al 31 dicembre scorso al 37,9% (rispetto a una soglia minima del 90%) ed è stata ricostituita solo grazie all’emissione da 3 miliardi di febbraio.

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I numeri della Banca Popolare di Vicenza (La Repubblica, 29 marzo 2017)

 
La ‘via crucis’ è proseguita a marzo quando la situazione di liquidità è di nuovo “peggiorata” a causa “della significativa uscita di raccolta commerciale a seguito dei timori di bail-in connessi alle incertezze sul processo di ricapitalizzazione” costringendo la Banca a chiedere altri 2,2 miliardi di euro di bond garantiti. La Popolare di Vicenza, così come Veneto Banca, hanno infatti inoltrato alla Bce il piano industriale 2017-2021, che prevede la fusione come “condizione indispensabile per il processo di ristrutturazione” unitamente “a un ulteriore intervento di rafforzamento patrimoniale” (si parla di 4,7 miliardi) che “rappresenta un presupposto per la continuità aziendale”, alla luce di un capitale sceso sotto i minimi regolamentari (il Cet1 di Vicenza è all’8,21% contro una richiesta Bce del 10,25%). Nell’impossibilità di ricorrere al mercato nel silenzio del fondo Atlante, che non ha ancora dato la sua disponibilità a iniettare nuovo capitale, il ricorso agli aiuti di Stato – chiesti lo scorso 23 marzo – “viene considerato come la più realistica opzione di ricapitalizzazione”. Ma la possibilità di accedervi resta appesa alla valutazione di compatibilità con la normativa sugli aiuti di Stato da parte della Dg Comp della Commissione Ue “i cui esiti sono allo stato incerti”. La musica non cambia per quanto riguarda il “processo autorizzativo” della fusione, su cui deve esprimersi la Bce e che “presenta non trascurabili elementi di incertezza”. Il rimpallo tra Francoforte e Bruxelles rischia di affondare le due banche, nonostante gli sforzi dell’a.d della Vicenza, Fabrizio Viola, e dei due cda di tirarle fuori dalle secche. I risultati della transazione (chiusa al 70,3% a Vicenza e al 68,2% a Montebelluna) anche se inferiori alla soglia dell’80% (a cui le banche rinunceranno) sono stati accolti “con soddisfazione” dal cda della Vicenza. In due mesi e mezzo sono stati convinti a firmare 121 mila soci su 169 mila. Ma se l’Europa dirà no al salvataggio delle banche venete tutto questo potrebbe non bastare. Intanto veneto Banca ha deciso di nominare degli advisor per procedere “senza indugio” alla cessione di Bim.

Leggi sull’argomento: Così BPVI e Veneto Banca chiedono 5 miliardi di aiuti allo Stato

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