Autostrade: come la revoca della concessione sta diventando una barzelletta

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-01-28

Secondo i giornali i grandi investitori non vogliono la revoca ad Autostrade perché “Pacta sunt servanda”. Certo, però anche i ponti dovrebbero esserlo

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“Non abbiamo ancora raccolto gli ultimi pareri ma a breve decideremo”. Decidiamo per la revoca? Non glielo anticipo”: ieri Giuseppe Conte da Lilli Gruber è tornato a buttare la palla in tribuna sulla revoca della concessione ad Autostrade, uno degli obiettivi dirimenti di questo governo secondo Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista che però rischia di diventare come l’Araba Fenice: Marco Travaglio gli ha fatto notare che della revoca si parla da mesi e la si dà quasi sempre come imminente, ma poi continua a passare il tempo senza che nessuno faccia la mossa decisiva in uno stallo messicano permanente. Fino a qualche tempo fa si dipingeva il Partito Democratico e la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli come ormai decisi anche loro a percorrere la strada della revoca. Oggi invece è giorno pari della settimana e quindi la revoca torna a “sfumare”, secondo quanto racconta Il Messaggero:

Per la verità anche prima delle elezioni era stato proprio il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, a frenare sulla revoca. Non solo prospettando a Palazzo Chigi tutte le perplessità del Tesoro sugli effetti finanziari connessi ad uno strappo traumatico con la società dei Benetton, perché porre fine alla convenzione per «gravi inadempienze» avrebbe comportato l’avvio di una battaglia legale infinita sugli indennizzi. Che anche se ridotti a 6 miliardi, come scritto nero su bianco dalla Corte dei Conti (Aspi è invece pronta a chiederne fino a 25), sarebbero stati certamente un problema per i conti pubblici.

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Autostrade, le concessioni dei Benetton (Il Messaggero, 28 gennaio 2020)

Tant’è che nel Milleproroghe, nonostante le insistenze dei grillini, nessuna cifra è stata messa in bilancio per una tale eventualità. Gualtieri del resto ha anche fatto notare al presidente del Consiglio Giuseppe Conte che tiene in mano le sorti della convenzione, che anche i grandi investitori internazionali, non solo i soci esteri di Atlantia (da Allianz al Silk Road Fund di Pechino), non avrebbero gradito una posizione massimalista con la revisione delle regole in corsa «perché pacta sunt servanda».

Certo, verrebbe da ricordare che se i pacta sunt servanda, pure i ponti dovrebbero esserlo. E se cascano non è per un caso o per sfortuna. Il quotidiano però spiega anche che le carte raccolte dal Mit sono comunque in grado di mettere ancora pressione ad Atlantia, nonostante le aperture, il nuovo piano industriale che aumenta gli investimenti in manutenzione e i
controlli, il cambiamento di management, le scuse dei vertici.

Dunque, se la revoca tout court appare ormai sullo sfondo, il prezzo che Atlantia dovrà pagare sarà comunque salato. Del resto un report di Equita Sim non fa che sottolineare come un «governo più moderato e riformista, e con il Pd più forte» non può che sostenere la via del confronto e del dialogo. In fondo tutti si aspettano che Conte replichi quanto già fatto con il caso Tav, approfittando dello sbandamento di M5s e delle difficoltà oggettive a procedere su una strada di scontro cruento. Non per questo però Palazzo Chigi rinuncerà a chiedere di più ad Atlantia. E  a farlo presto.

Il quotidiano insomma sembra porsi in una posizione “trattativista” con l’intenzione di fare da arbitro per una mediazione che dovrebbe comprendere la prostrazione di Atlantia e le concessioni che le rimangono in saccoccia. Visto che è una trattativa, viene voglia di rilanciare: tenetevi le scuse, ridateci le autostrade e siamo pari.

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