La “clamorosa” ipotesi della Procura: gli industriali e le pressioni per evitare la zona rossa a Bergamo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-06-12

La procura di Bergamo lavora infatti a un’ipotesi di indagine sulla mancata zona rossa nella Val Seriana che mette al centro della scena gli industriali della zona, che avrebbero esercitato pressioni su governo e Regione Lombardia per evitare le chiusure

article-post

Un colpo di scena davvero inaspettato, si potrebbe dire con una buona dose di ironia. La procura di Bergamo lavora infatti a un’ipotesi di indagine sulla mancata zona rossa nella Val Seriana che mette al centro della scena gli industriali della zona, che avrebbero esercitato pressioni su governo e Regione Lombardia per evitare le chiusure.

La “clamorosa” ipotesi della Procura: gli industriali fecero pressioni su governo e regione per evitare la zona rossa a Bergamo

Paolo Berizzi su Repubblica spiega oggi che nei giorni tribolati, e ancora avvolti in una parziale nebulosa, durante i quali Regione Lombardia e governo si passavano il cerino della decisione sulla zona rossa da istituire a Alzano e Nembro – i due paesi focolaio della bergamasca -, gli imprenditori del territorio hanno esercitato forti pressioni affinché quella chiusura non si facesse.

Pressioni bipartisan. Geograficamente trasversali: sia sul governo regionale, sia su quello centrale. È l’ipotesi di lavoro – non l’unica, ma la più interessante -, sulla quale sono concentrati i magistrati della procura di Bergamo. Da oggi sono in trasferta a Roma per sentire (come persone informate sui fatti) il premier Giuseppe Conte, i ministri Luciana Lamorgese (Interno) e Roberto Speranza (Salute). La vicenda giudiziaria – il reato ipotizzato è epidemia colposa – ruota intorno a quello che è il cuore dell’inchiesta: la mancata zona rossa nel focolaio bergamasco.

Che già il 2 marzo, come documentato da Repubblica nell’inchiesta L’Ora zero, era in condizioni di gran lunga peggiori di quanto non fossero, dieci giorni prima, Codogno e gli altri Comuni del lodigiano (cinturati dallo Stato il 23 febbraio per contenere la diffusione di Covid 19). Chi è perché, e, a questo punto, su input di chi, ha ballato per 5-6 giorni – a inizio marzo – per infine decidere di non isolare Alzano e Nembro, come invece avevano espressamente suggerito gli scienziati, e estendere il lockdown all’intera Lombardia e poi a tutta Italia (dall’8 marzo)? Sono le domande focali da cui muove il pool guidato dalla pm Maria Cristina Rota. Queste domande, da quanto trapela, potrebbero avere già trovato tracce di risposta.

Naturalmente basta dare un’occhiata a quello che è successo in quei giorni, compreso il video #bergamoisrunning, per comprendere che la “scoperta” non è per niente rivoluzionaria. Ma a parte l’ironia, la procura deve decidere se è possibile ravvisare reati in questo tipo di comportamenti. Il che, ad occhio, pare difficile perché alla fine a decidere sono stati altri (governo e regione) e quindi a loro andrà eventualmente imputato qualcosa.

Agli imprenditori lombardi e bergamaschi l’idea che il governo, o la Regione, potessero chiudere – in entrata e in uscita – la Valle Seriana un tempo soprannominata “valle dell’oro”, andò indigesta da subito. E da subito – ipotizzano i magistrati – titolari e dirigenti delle fabbriche, rappresentanti delle associazioni di categoria, intermediari dell’economia e della politica si sarebbero attivati per scongiurare lo stop.

Un’azione di lobbying, certo. Ma che, se riferita al tessuto produttivo di una provincia che a marzo arriva a contare quasi 6mila morti ufficiali per coronavirus (+568% di decessi rispetto agli anni precedenti), assume caratteristiche ben diverse. Dice Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia: «Noi abbiamo sempre sostenuto che andavano protette e tenute aperte le filiere essenziali: aziende che producono cibo e farmaci e che garantiscono i trasporti. Se ci sono state pressioni da parte nostra possono essere state solo a questo scopo».

Le pressioni degli industriali e le decisioni di governo e regione

Da questo punto di vista, spiega ancora Repubblica, nell’inner circle dei vertici M5S si mormora che se gli imprenditori lombardi hanno cercato di condizionare la politica per lasciare aperta la Valle Seriana, non è a Roma che si sono rivolti ma piuttosto a Milano. Leggi: Regione Lombardia. Il Corriere della Sera invece in un articolo a firma di Fiorenza Sarzanini e Simona Ravizza spiega che la Regione Lombardia non ha mai presentato una richiesta formale per far dichiarare«zona rossa» i Comuni di Alzano e Nembro.

La conferma arriva al termine del secondo giorno di missione a Roma dei pm di Bergamo. E ora i magistrati vogliono ricostruire i contatti di quei giorni, verificare che tipo di rapporti e trattative ci furono con il governo. Agli atti dell’inchiesta è stato infatti acquisito il verbale della riunione svolta il 3 marzo dal comitato tecnico scientifico in cui si dà conto di una telefonata tra gli scienziati e l’assessore alla Sanità Giulio Gallera. E sarà proprio questo uno degli argomenti al centro degli interrogatori del premier Giuseppe Conte e dei ministri dell’Interno Luciana Lamorgese e della Salute Roberto Speranza fissati per oggi. Tutti convocati come testimoni.

zone rosse regioni
Le 116 zone rosse decretate dalle regioni (Il Fatto, 12 giugno 2020)

In quel momento la linea degli scienziati è dunque tracciata, ma il suggerimento non viene preso in considerazione né in Lombardia, né a Roma visto che due giorni dopo il direttore del Comitato Silvio Brusaferro invia una relazione a Palazzo Chigi per ribadire la necessità di «chiudere». Perché la Regione non ritenne opportuno appoggiarlo? Di fronte ai magistrati il governatore Attilio Fontana ha dichiarato che la scelta spettava all’esecutivo.

Oggi Conte sosterrà di fronte ai pubblici ministeri che «in caso di urgenza e necessità la Regione poteva procedere autonomamente, come effettivamente è avvenuto in seguito e come hanno fatto altre Regioni». E spiegherà che lui decise di aspettare perché «intanto era maturata una soluzione ben più rigorosa, basata sul principio della massima precauzione, che prevedeva di dichiarare “zona rossa” l’intera Lombardia e tredici Province di altre Regioni».

Un provvedimento firmato l’8 marzo e di fatto entrato in vigore il 9 marzo.

Leggi anche: Paolo Cosenza: i 100mila euro alla Lega dall’imprenditore di Pozzuoli

Potrebbe interessarti anche