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Vaccini COVID: a che punto siamo?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-02-24

Mentre AstraZeneca prevede di fornire meno della metà delle dosi di vaccino anti-Covid all’Unione europea rispetto al contratto nel secondo trimestre a ieri erano state distribuite alle regioni circa 5 milioni di dosi di vaccini COVID. Il numero di quelle effettivamente somministrate però è molto inferiore: 3.682.425. Cosa è successo?

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È di ieri la notizia che AstraZeneca prevede di fornire meno della metà delle dosi di vaccino anti-Covid all’Unione europea rispetto al contratto nel secondo trimestre. Secondo Reuters, che riporta le parole di un funzionario UE, rispetto alle 180 milioni di dosi che la casa farmaceutica si era impegnata a consegnare ai paesi dell’Unione Europea nel secondo trimestre 2021, ne verranno erogate solo 90 milioni. Oggi il Corriere fa il punto sulla situazione delle vaccinazioni in Italia: a ieri erano state distribuite alle regioni circa 5 milioni di dosi. Il numero di quelle effettivamente somministrate però è molto inferiore: 3.682.425. Cosa è successo? La discrepanza tra vaccini distribuiti e somministrati si spiega con la regola del 30%. Ovvero con la quota di fiale “messe da parte” per consentire i richiami. Ma non tutte le regioni si sono mosse nello stesso modo:

 

Ci sono regioni che la vecchia regola del 30% l’hanno sempre ignorata. E per questo sono andate più veloci. La Valle d’Aosta ha utilizzato il 92,6%% delle dosi a disposizione. La provincia di Bolzano, che pure ha avuto i tassi più alti dirifiuto tra medici e infermieri e per questo è passata subito agli over 80, è arrivata all’87,3%. Piccolo è bello? Di sicuro più semplice. Ma anche una regione grande come la Toscana ha un dato ben al di sopra della media nazionale con l’81,9%. Buona parte delle regioni è proprio intorno al 70%. La Campania al 76,5%, l’Emilia Romagna al 74,7%, il Piemonte al 73,8%, il Lazio al 73,1%. Un po’ più indietro la Lombardia al 70,5% e il Veneto al 68,3%. Il dato peggiore è quello della Calabria con il 55,3%. Ma va piano anche un territorio dove la varianti hanno cominciato a colpire prima: l’Umbria che viaggia al 63%. E la regione più anziana (e quindi più fragile) d’Italia, la Liguria è ferma al 60,2%.

Secondo il quotidiano che si fa la domanda “Entro la fine di marzo—come ha confermato Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità — dovremmo arrivare a 13 milioni. Nelle previsioni iniziali dovevano essere più del doppio: 28 milioni. Se fossero arrivate davvero tutte, quante ne saremmo riusciti ad utilizzare?”, attribuire i ritardi alle mancate consegne di Pfizer, Moderna e AstraZeneca è corretto ma non spiega il problema nella sua totalità. Si potrebbe fare di più, superando la regola del 30% e prevedendo un flusso che consenta di avere delle scorte sufficienti per poter garantire una riserva tale da essere calibrata sulle fiale somministrate nelle tre settimane precedenti. Intanto la produzione italiana dei vaccini rimane un problema aperto. Nella migliore delle ipotesi, quella in cui si trovassero immediatamente i bioreattori necessari per infialare nei nostri stabilimenti le dosi, ci vorrebbero dai quattro ai sei mesi. Con il rischio che per allora la penuria di dosi sia solo un ricordo.

 

 

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