La speranza di vita nelle regioni italiane

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La provincia di Trento è quella che ha l'età media più alta, seguita dall'Umbria, da Bolzano, dalle Marche e dal Veneto; agli ultimi posti ci sono la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, a sorpresa la Valle d'Aosta e la Campania, che chiude la fila a 81,4 anni mentre la media italiana è di 83 anni

Il Messaggero oggi pubblica una tabella che riepiloga la speranza di vita nelle regioni italiane e spiega che chi nasce in Campania e in Sicilia ha una speranza di vita alla nascita fino a quattro anni inferiore rispetto a chi nasce in Trentino o nelle Marche: la provincia di Trento è quella che ha l’età media più alta, seguita dall’Umbria, da Bolzano, dalle Marche e dal Veneto; agli ultimi posti ci sono la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, a sorpresa la Valle d’Aosta e la Campania, che chiude la fila a 81,4 anni mentre la media italiana è di 83 anni. Il quotidiano, per spiegare le differenze, punta il dito sulla sanità:



ll nuovo sistema di verifica e valutazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), che entra in vigore da quest’anno, prevede criteri più severi per giudicare la qualità e l’efficienza dei sistemi sanitari regionali e, stando ad una simulazione svolta dal Comitato Lea del ministero della Salute solo 11 Regioni su 21 risultano essere adempienti, quindi sarebbero promosse. Le “bocciate” sono quasi tutte del Sud: Campania, Calabria, Molise, Basilicata, Sicilia, Sardegna, si salvano soltanto Puglia e Abruzzo. Il documento della simulazione è riportato dalla Corte dei Conti nel suo ultimo report sul coordinamento della Finanza pubblica. Superare il giudizio del Comitato Lea è decisivo: riuscire a raggiungere un punteggio di sufficienza garantisce lo sblocco di ulteriori fondi, una quota premiale pari al 3% del riparto del fondo sanitario al netto delle entrate proprie.

La speranza di vita nelle regioni italiane (Il Messaggero, 4 agosto 2020)

Per gli analisti sanitari il definanziamento al Sud e, spesso, l’uso errato delle risorse porta a spiegare  l’abissale differenza, per esempio nelle cure e nell’assistenza, che rivelano i tassi di alcune malattie. Una per tutte, il tumore. «Sono ancora troppe le differenze nel nostro territorio – denuncia Giordano Beretta presidente dell’Associazione oncologi medici – dall’adesione alle cure alle coperture degli screening. Nelle Regioni cosiddette virtuose si può contare sulla disponibilità di nuove terapie efficaci o di test in grado di analizzare il profilo molecolare del tumore. Fermiamoci solo agli screening per capirci. L’attivazione dei test sul tumore alla mammella in Lombardia è al 100 per cento e l’adesione delle donne, tra 50 e 69 anni, è pari al 60 per cento. Al Sud, invece, in alcune zone, l’attivazione è pari al 20 per cento. Risultato, nel primo caso 60 donne su cento sono protette mentre nel secondo solo 20 su cento».



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