Silenzio-assenso: le aziende che tornano al lavoro in deroga ai codici Ateco (e le prefetture non controllano)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-11

Sono 80mila le aziende che hanno riaperto i battenti in deroga allo stop per l’emergenza Coronavirus. Le aziende ripartite dopo lo stop hanno presentato al prefetto un’autocertificazione in cui dichiarano di rientrare nella filiera delle attività essenziali, oppure di avere impianti che non si possono fermare

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Sono 80mila le aziende che hanno riaperto i battenti in deroga allo stop per l’emergenza Coronavirus. Le stime sono dei sindacati. Racconta oggi il Corriere della Sera che le aziende ripartite dopo lo stop hanno presentato al prefetto un’autocertificazione in cui dichiarano di rientrare nella filiera delle attività essenziali, oppure di avere impianti che non si possono fermare o ancora di svolgere un’attività di rilevanza strategica nazionale.

Silenzio-assenso: così le aziende tornano al lavoro in deroga ai codici ateco e le prefetture non controllano

Secondo una rilevazione della Uil, ferma però alla fine di marzo, le deroghe sono 15.980 in Emilia-Romagna, 14.279 in Lombardia, 10.600 in Veneto, 7.083 in Toscana, 4.664 in Piemonte. Al Sud i numeri sono più bassi, come dimostrano le 691 deroghe in Campania. Ma negli ultimi giorni, con il miglioramento della situazione sanitaria e l’aggravarsi di quella economica, i numeri sono cresciuti ovunque. E questo succede perché le prefetture, deputate al controllo delle deroghe, non controllano. “In provincia di Piacenza 1.273 attività produttive hanno ripreso e, in alcuni casi, mai interrotto la loro attività. A quanto pare non tutte rientrano però nei codici Ateco attraverso i quali il Governo ha stabilito i settori produttivi ritenuti indispensabili. Sfruttando il cosiddetto silenzioassenso del prefetto”, scrive oggi sui social il capogruppo di “Coraggiosa” in Regione, Igor Taruffi. Le attività che ritengono di fornire beni o servizi attinenti alle attività consentite possono infatti comunicare la propria intenzione di riprendere al Prefetto. “E se non arriva un espresso diniego o un atto di sospensione, sono legittimate ad andare avanti. Questo prevedono le norme decise dal Governo”, sottolinea Taruffi, che sollecita a questo punto una modifica delle norme. “Voglio essere chiaro. Siamo tutti- prosegue il consigliere- pienamente consapevoli che l’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown stanno comportando una gravissima crisi economica e sociale. E siamo altrettanto consapevoli che una graduale, progressiva riapertura delle attività sia indispensabile. Va però pensata e programmata con il massimo della serietà e del rigore. Innanzitutto pretendendo il pieno rispetto della sicurezza nei luoghi di lavoro. L’unica reale garanzia ed il presupposto per la ripresa”.

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In base al decreto del governo, vale il silenzio assenso. E, in questa situazione d’emergenza, non tutte le prefetture riescono a star dietro alle richieste. E il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ne approfitta per dichiarare finito “dal punto di vista scientifico” il lockdown per via del silenzio assenso delle Prefetture sulle richieste di apertura in deroga, e quindi potrebbe valere la pena “testare subito con alcune aziende virtuose un modello per la ripartenza, in modo da arrivare pronti al 3 maggio”. Zaia spiega di avere “diverse aziende che si candidano”, in molti settori diversi, ad esempio quello della moda e il metallurgico. “Ringraziamo tutti quelli che hanno rispettato le restrizioni, ma il lockdown in Veneto non c’è più”, continua Zaia, spiegando che in vista del nuovo dpcm, che sarà con molta probabilità presentato oggi dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, le sue richieste saranno principalmente due. Ovvero, la possibilita’ per le Regioni di “individuare un pacchetto di imprese virtuose per testare le modalità di riapertura in sicurezza” così da “arrivare pronti al 3 maggio”, e lo stop al sequestro delle forniture di dispositivi di protezione individuale non destinati alla sanità. Perché “i cittadini devono poterli acquistare”.

Il silenzio assenso e il lockdown aggirato

Anche il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, a proposito del meccanismo per autorizzare le riaperture delle attività produttive, chiede di cambiare passo: “Proponiamo al Governo che diventi possibile superare l’attuale sistema fatto di deroghe silenzio-assenso mediante il confronto tra le parti sociali nel territorio da consegnare all’intesa tra Prefetti e presidenti delle Regioni”. “Premesso che abbiamo preso e che continueremo a prendere misure restrittive per contenere il coronavirus – dice Bonaccini – in alcuni casi più severe rispetto a quelle nazionali, qui in Emilia-Romagna siamo nelle condizioni di avviare un confronto con tutte le parti sociali, imprese e sindacati, per la definizione di criteri che tengano insieme la salute delle persone e l’attività produttiva e lavorativa in condizioni di massima sicurezza. E di farlo attraverso Tavoli provinciali per la sicurezza nei luoghi di lavoro, come quello che si è insediato nei giorni scorsi nella Città metropolitana di Bologna”.

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Intanto le segreterie di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil Bologna annunciando di essere pronte a far presente tutto in Prefettura: “Stiamo registrando con preoccupazione un aumento, negli ultimi giorni, del numero di aziende che non accettano più di sottoscrivere accordi impegnandosi all’anticipo di quanto di competenza Inps, soprattutto nelle aziende che sono seguite da studi professionali o dalle associazioni artigiane. A volte si porta come scusa che ‘tanto ci pensa lo Stato’, non rendendosi conto che in questo modo chi rappresenta le imprese, spesso piccole o artigiane, si assume la responsabilità di gettare le lavoratrici ed i lavoratori in una condizione di estrema emergenza reddituale”. Sulle deroghe auspicate dalle imprese che vogliono aprire prima, poi, continuano i sindacati: “Registriamo in queste ultime ore il moltiplicarsi di richieste, in molti casi fantasiose, alla Prefettura di Bologna di riprendere le attività totale o parziale il prossimo martedì 14 aprile anche da parte di imprese che non rientrano nelle attività elencate dal Dpcm di ieri”. Quindi, è l’accusa sindacale, “ricercare fantasiosi sillogismi per giustificare il rientro al lavoro dei propri dipendenti, da parte di troppe direzioni aziendali, ci fa capire che gli oltre 18.000 morti non sono sufficienti a certi imprenditori per capire la situazione in cui versa il nostro Paese”. Ancora: “Usare inoltre il silenzio-assenso della Prefettura, subissata di richieste da vagliare, per dribblare le disposizioni del Governo ci mostra una classe imprenditoriale che francamente avremmo preferito più responsabile, come del resto segnalato anche dalla dalla Regione Emilia-Romagna”, concludono le categorie sindacali dei metalmeccanici confederali.

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