Tutti i guai di Salvini: le indagini sulla Lega

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-07-26

Non solo Fontana: mentre la bomba del Sistema Lombardia rischia di scoppiare in mano alla Lega, costretta oggi, dopo aver preteso liste pulite e al di là di ogni sospetto in luoghi come la Campania, a difendere un governatore che ha avuto un ruolo nella storia dei camici ben al di là rispetto a quello che ha detto all’opinione pubblica, altre inchieste dei magistrati preoccupano Salvini. Che infatti reagisce malissimo

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Non solo Fontana: mentre la bomba del Sistema Lombardia rischia di scoppiare in mano alla Lega, costretta oggi, dopo aver preteso liste pulite e al di là di ogni sospetto in luoghi come la Campania, a difendere un governatore che ha avuto un ruolo nella storia dei camici ben al di là rispetto a quello che ha detto all’opinione pubblica, cominciano a diventare molte le inchieste sul Carroccio e tutte puntano al centro di potere più importante di Matteo Salvini: la Lombardia.

Tutti i guai di Salvini: le indagini sulla Lega

Se all’inizio della storia dei 49 milioni il Capitano poteva gettare la croce addosso a Umberto Bossi e alla “vecchia” Lega, oggi la partita si gioca su tavoli a cui Salvini non può dirsi estraneo, anche  se ci prova. Il Fatto ricorda oggi che mentre l’accordo con lo Stato prevede un pagamento dilazionato in 76 anni, con rate da 600 mila euro, prosegue la ricerca del “tesoro” padano: il secondo fascicolo è tuttora aperto con l’ipotesi di riciclaggio (il primo indagato è l’assessore lombardo Stefano Bruno Galli). L’inchiesta su Lombardia Film Commission vede indagati i revisori dei conti della Lega che sono stati nominati mentre lui era segretario e sotto la lente ci sono altri soldi pubblici di cui, secondo l’accusa, si sarebbero appropriati mettendo su un’operazione commerciale che ha ipervalutato un immobile. E ancora: nel caso Diasorin-San Matteo la Procura di Pavia indaga sull’accordo tra i vertici dell’ospedale e la società farmaceutica per i test sierologici sul  coronavirus. Nell’inchiesta è spuntato il nome di Salvini (non è indagato). In una chat, un esponente del Carroccio attacca il sindaco di Robbio (Pavia), Roberto Francese, che è favorevole a un test alternativo: “Ho sentito Matteo – scrive il leghista – chi sta con quel miserabile è fuori dal partito”. Poi ci sono gli arretrati, ricorda ancora il Fatto:

Andando a ritroso, sono innumerevoli i leghisti coinvolti nei processi sulle “spese pazze” dei consigli regionali (due esempi: il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo condannato a un anno e 8 mesi, l’ex viceministro Edoardo Rixi a 3 anni e 5 mesi, entrambi per peculato). Numerose pure le indagini su Salvini per la gestione delle navi dei migranti da ministro dell’Interno (andrà a processo per il caso Gregoretti con l’accusa di sequestro di persona).

Molto pesante l’ipotesi per l’ex sottosegretario Armando Siri: è accusato di corruzione per una presunta mazzetta da 30 mila euro da Paolo Arata, imprenditore vicino al “re dell’eolico” Vito Nicastri, a sua volta legato al superboss mafioso Matteo  Messina Denaro.Concludiamo l’agile rassegna sui dirigenti leghisti con il tesoriere Giulio Centemero, indagato per finanziamento  illecito a Roma e Milano. Pesano i 250 mila euro versati da Luca Parnasi all’associazione leghista “Più Voci”.

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Le indagini sulla Lega di Salvini (La Repubblica, 26 luglio 2020)

Le indagini sulla Lega, le reazioni berlusconiane di Salvini

E mentre è curioso che un leader che ha costruito la sua leadership allontanando la Lega dall’abbraccio con Berlusconi abbia reazioni spiccatamente berlusconiane alle notizie sulle inchieste che riguardano il Carroccio, il Capitano ieri ha parlato di «indagini che sanno di vecchio». Non ricorda, segnala Repubblica, che l’attuale procuratore Francesco Greco era nel pool che raccolse le confessioni di Alessandro Patelli, il primo tesoriere della Lega poi condannato con Bossi: era l’8 dicembre 1993, il giorno in cui si è dissolta l’immacolata concezione della Lega “dura e pura”.

Ancora non si è capito perché il suo predecessore Roberto Maroni decise di lasciare il Pirellone, ora però le istruttorie coinvolgono anche la sua gestione della Regione e del partito. La storia del milione elargito  dalla Lombardia Film Commission per acquistare un inutile immobile – alimentando i conti del trio di commercialisti salviniani Di Rubba, Scilleri e Manzoni – è una “brutta roba”. In procura ieri l’ex assessore Cristina Cappellini, leghista della prim’ora, ha smentito Maroni, sostenendo di non avere mai saputo che il finanziamento sarebbe servito per comprare il capannone dal prezzo gonfiato. E ha anche ricostruito le dinamiche interne al partito che portarono alla nomina di Di Rubba al vertice della Film Commission.

Un nome che si intreccia con la scomparsa dei 49 milioni, il grande mistero che attraversa la leadership leghista da Bossi a Salvini passando proprio per Maroni. Non solo. Il trio dei commercialisti compare pure nell’architettura delle  fondazioni che incamerano denaro da Esselunga e dal costruttore romano Luca Parnasi. Su questo fronte le rogatorie stanno lentamente ricomponendo il mosaico di entrate e uscite che rimbalzano per l’Europa e si concentrano su figure paradossali, come l’elettricista che riceve milioni e in piccola parte li trasferisce in Russia. Già, la Russia: il capitolo più scabroso, con l’ipotesi di corruzione internazionale per il patto sancito ai tavoli del Metropol da Gianluca Savoini

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Una cosa è certa: il suo nervosismo è più che comprensibile.

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