I rischi che corrono San Pietro e le chiese di Roma

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-04-17

San Pietro, San Giovanni, Santa Maria Maggiore, San Paolo, Santa Croce in Gerusalemme e le altre: cosa succederebbe in caso di incendio?

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Dopo l’incendio che ha devastato la Cattedrale di Notre-Dame, il pensiero non può che andare a San Pietro, San Giovanni, Santa Maria Maggiore, San Paolo, Santa Croce in Gerusalemme e le altre grandi e piccole chiese romane che potrebbero correre rischi simili. C’è da ricordare che  per la maggior parte si tratta di costruzioni che insistono sul territorio vaticano, e per questo motivo la vigilanza anti-incendio è di competenza dei vigili del fuoco della Santa Sede. Sono trentasei, li comanda l’ingegner Paolo De Angelis, funzionario di prima classe.

I rischi che corrono San Pietro e le chiese di Roma

Luca Virgilio, l’architetto del grande restauro della Basilica di San Pietro, durato 10 anni, ha spiegato oggi al Fatto che il carico d’incendio su San Pietro non sarebbe paragonabile a quello su Notre-Dame.

Perché?
Perché la Basilica è costituita esternamente da travertino e internamenti da stucchi, marmo e mosaici, quindi quasi non infiammabili.

Quindi se ci fosse un incendio a San Pietro non assisteremmo alle immagini che abbiamo visto a Parigi?
Non bisogna neanche pensarci.

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De Angelis conferma oggi con il Corriere Roma: «Rispetto a Notre-Dame i volumi di legno presenti ad esempio a San Pietro sono molto ridotti e comunque ci sono sofisticati impianti di rilevazione incendi collegati direttamente con la nostra sala operativa. Nella basilica le navate non sono in legno, ma in pietra e conglomerato dei tempi in cui è stata costruita. Anche il tetto è in materiali latero-cementizi. È vero che ci sono dei puntoni in legno, ma sono protetti da vernice ignifuga». In tutta la Città del Vaticano – spiega ancora De Angelis – ci sono circa 5mila estintori e un anello idraulico di trenta chilometri che copre l’intero territorio dello Stato». Le basiliche rientrano nel piano antiincendio adottato dalla Santa Sede. «Con un continuo upgrade dei livelli di sicurezza, test periodici previsti dalla normativa italiana – ogni sei mesi – e un lavoro non semplice di adeguamento dei livelli di protezione che viene svolto in collaborazione anche con chi sta svolgendo interventi di ristrutturazione e di restauro. Gli impianti sono certificati».

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