Economia
I rimborsi spese ci rivelano quanto ci costano i “big” del MoVimento 5 Stelle
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2018-02-22
Ci sono i parlamentari che hanno truccato i bonifici delle restituzioni e quelli che – alla luce del sole – hanno vissuto alla grande senza accantonare un euro di rimborso spese e restituendo ai “cittadini” solo lo stretto necessario per continuare la propaganda del MoVimento anti casta. Tra questi ultimi ci sono Di Battista, Di Maio, Taverna, Toninelli, Fico e Giarrusso
Non ci sono solo le “mele marce” a rovinare l’immagine morigerata e francescana dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle. Quando sono arrivati in Parlamento i pentastellati lo hanno fatto sull’onda delle proteste anti casta e della promessa di dimezzarsi lo stipendio. Nel 2013 durante la campagna elettorale i candidati del M5S si erano impegnati (o meglio Beppe Grillo aveva preso l’impegno per loro) a prendere 2.500 euro al mese. È stato sufficiente arrivare a Roma per cambiare idea.
Il MoVimento francescano, ma non con i rimborsi spese
Nell’aprile del 2013, prima ancora che gli eletti percepissero il primo stipendio, Grillo fece una parziale retromarcia. Sì al taglio dello stipendio (non un vero dimezzamento a conti fatti) fissando un tetto massimo di seimila euro al mese compresi i famosi rimborsi spese. Ed è proprio sui rimborsi spese “rendicontati al centesimo” che molti parlamentari hanno iniziato a “tradire” lo spirito francescano del MoVimento. Naturalmente non c’è nulla di male e nemmeno alcunché di illecito. È solo una questione di immagine. L’immagine che traspare dai rendiconti pentastellati di questi cinque anni è molto diversa da come un elettore del M5S immaginava sarebbero potute andare le cose.
Certo, Alessandro Di Battista si è sforzato di spiegare a sua mamma che non è vero che lui prende diecimila euro al mese. Roberto Fico invece ha spiegato quanto è difficile vivere a Roma con appena tremila euro al mese mentre Alfonso Bonafede insisteva qualche mese fa sul fatto che lui prende solo duemilacinquecento euro al mese. Sia Fico, che Di Battista che Bonafede però hanno sempre omesso (o dimenticato) di far presente che oltre allo stipendio da parlamentare possono usufruire su rimborsi forfettari mensili il cui importo si aggira tra i seimila e i diecimila euro al mese.
E sono proprio quei rimborsi che consentono ai parlamentari a 5 Stelle di vivere a Roma, dal momento che vengono utilizzati per tutto. Non solo per pagare le spese dell’ufficio, gli stipendi dei collaboratori e l’affitto ma anche per pagare i pranzi, le cene, la spesa al supermercato o la benzina per l’auto.
Quanto spendono i parlamentari del M5S?
I dati sono tutti pubblici e si possono consultare sul sito TiRendiconto. Si scopre così che nel corso del 2017 il deputato Danilo Toninelli ha utilizzato sempre tutti i rimborsi forfettari. Panorama ha calcolato che nel periodo 2013-2017 Toninelli ha incassato complessivamente 433.000 euro di rimborsi. Nel 2014 ne ha restituiti poco più di 23mila mentre nel 2017 non ha restituito nemmeno un euro. Questo non significa che Toninelli non abbia effettuato i versamenti periodici sul conto del MEF per il Fondo per il Microcredito. Le “restituzioni” sono finanziate per la maggior parte con il taglio dello stipendio. Non c’è alcun obbligo invece a tagliare sui rimborsi quindi i pentastellati restituiscono i rimborsi solo quando effettivamente non riescono a spenderli.
Toninelli non è certo l’unico “Big” del M5S ad usare integralmente i rimborsi spese. Il meno francescano è risultato essere il senatore Mario Michele Giarrusso, che nel corso della legislatura ha utilizzato 489mila euro di rimborsi spese e ne ha restituiti complessivamente 14mila (circa il 3% del totale). Nel corso del 2017 anche Giarrusso non è mai riuscito a restituire la parte eccedente dei rimborsi, avendo speso complessivamente 109mila euro. Si dirà che è difficile vivere a Roma, è costoso. E Roberto Fico, che sa quanto è difficile, nel 2014 ha restituito 28.424 euro di rimborsi mentre l’anno scorso solo 6.142 euro (a fronte di 382mila incassati). Tutto regolare e senza dubbio “lo fanno anche gli altri”, ma solo il M5S è andato in Parlamento dicendo che erano diversi.
Le spese di Lombardi, Taverna e Di Battista
Allora non si spiega come mai alcuni parlamentari romani, come Roberta Lombardi, Paola Taverna e Alessandro Di Battista spendano quanto (e più di coloro che vengono “da fuori”). Ad esempio la Taverna è passata dall’aver risparmiato circa 32 mila euro di rimborsi nel 2014 ad appena 4.744 euro nel 2017 (su un totale di 422mila). La candidata alla presidenza della Regione Lazio – che ogni mese deve pagare circa seimila euro di spese per lo staff – invece nel 2017 è riuscita a risparmiare appena 1.399 euro (e dal 2014 ne ha incassati 367mila).
Non va meglio per il mitico Dibba, che è passato dai 33mila euro di rimborsi restituiti nel 2014 a 3.454 euro risparmiati nel corso del 2017 (sostanzialmente 90% in meno). Non proprio quello che ci si aspetta da un parlamentare la cui immagine è quella di uno che mangia la pizza sugli scalini del palazzo. Anche perché Di Battista spende quasi mille euro al mese di vitto. Anche il Capo Politico del MoVimento, Luigi Di Maio, quest’anno ha utilizzato tutti i rimborsi spese. Nel corso della legislatura ne ha ricevuti dalla Camera per un totale di 482mila euro. Si dirà che è per via delle spese per la campagna elettorale. Ma per il “rally” di Di Maio il M5S raccoglie le donazioni degli attivisti.