«Per fare il test all’ospedale Cotugno ho dovuto minacciare una denuncia»

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-02-28

Il surreale racconto di un avvocato di Napoli: «Prima non volevano farmi il test del tampone, poi non c’era una risposta certa sul coronavirus, anche se poi mi chiedevano di stare in quarantena. Solo leggendo i giornali giovedì mattina, ho capito che l’avvocato positivo al Cotugno ero io»

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Il paziente uno della Campania è un avvocato napoletano di 50 anni. Che però oggi in un’intervista al Mattino spiega di aver dovuto combattere per fare il test del tampone e minacciare di denunciare i medici perché, non si capisce per quale motivo, non lo volevano effettuare su di lui.

«Per fare il test all’ospedale Cotugno ho dovuto minacciare una denuncia»

«Ho dovuto minacciare di denunciare i medici pur di fare il tampone. Ho chiamato tutti i numeri verdi messi a disposizione, nessuno mi ha risposto. Mi sono recato con mezzi propri al Cotugno, sono rimasto in attesa assieme a decine di persone e solo dopo aver minacciato denunce penali mi hanno fatto questo benedetto test. Poi sono andato via con una diagnosi interlocutoria e solo leggendo i giornali, ieri mattina, ho capito di essere positivo al corona virus», dice l’avvocato che ha uno studio a Napoli e uno a Milano e venerdì è andato e tornato dal capoluogo meneghino, mentre martedì notte, dopo Napoli-Barcellona, ha cominciato ad avvertire i sintomi: «Ho chiamato tutti i numeri verde messi a disposizione in questi giorni, ma nessuno mi ha mai risposto. Nessuno. Puoi stare ore al telefono,non ti risponde nessuno. Intanto, il medico curante mi ha consigliato una tachipirina, che mi ha fatto abbassare la febbre».

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Poi l’arrivo all’ospedale e la storia che non volevano fargli il test del tampone: «Tra le 11 e le 12 mi decido ad andare al Cotugno. Qui due vigilantes mi danno una mascherina a mani nude, resto all’interno di un pronto soccorso con decine di persone. Potenzialmente avrei potuto infettare qualcuno o viceversa. E non volevano farmi il tampone». In che senso? «Mi fanno il triage alle 13.15, ho spiegato che venivo da Milano, ma mi hanno risposto che era una zona gialla e non rossa. Un medico mi ha anche risposto in modo sgradevole. Mi ha detto: “Guardi che lei è il decimo avvocato
napoletano che viene da Milano, non possiamo fare il tampone a tutti gli avvocati che hanno clienti in Lombardia”». Alla fine il tampone viene fatto e il responso non è definitivo: «Negativo all’influenza normale, mentre non c’era una risposta certa sul coronavirus, anche se poi mi chiedevano di stare in quarantena. Solo leggendo i giornali giovedì mattina, ho capito che l’avvocato positivo al Cotugno ero io. Lo capisce? L’ho appreso dai giornali, poi mi è arrivata una telefonata dell’Asl con un questionario tardivo su chi avessi incontrato. Intanto, se avessi ascoltato i loro consigli, ora avrei infettato decine di persone. È così che si lavora in una condizione di emergenza?».

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