Come l’emergenza Coronavirus taglierà le pensioni contributive

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-05-25

Essendo il PIL crollato dell’8%  in termini nominali risulta solo impercettibilmente superiore a quello del 2015. Il tasso di capitalizzazione è così praticamente nullo,mentre con il Pil nominale che il governo aveva stimato (anche con molta prudenza) a fine 2019 il rendimento sarebbe stato pari all’1,9 per cento circa

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Il crollo del prodotto interno lordo causato dall’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 taglierà le pensioni degli italiani che lasceranno il lavoro nei prossimi anni. Il Messaggero spiega oggi che l’impatto per ora è contenuto, anche se non trascurabile, con una riduzione lorda dell’assegno futuro che può arrivare a sfiorare il 3 per cento nel 2023 ma è poi destinata ad accentuarsi e comunque a permanere nel tempo. Il calcolo dei trattamenti previdenziali è ormai da tempo legato, nel sistema contributivo, all’andamento dell’economia del Paese; un legame che diventa più forte e visibile a mano a mano che questo meccanismo va a regime e che non dipende dalle scelte di questo o quel governo.

Siccome l’impatto della minore crescita si vede solo sulla parte contributiva dell’assegno (mentre la quota retributiva dipende interamente dal livello della retribuzione e dagli anni di attività lavorativa) il primo aspetto da verificare è l’incidenza del contributivo sulle singole pensioni. Le situazioni possibili sono tre e dipendono da due grandi riforme previdenziali fatte nei decenni scorsi. Coloro che alla fine del 1995 (spartiacque della riforma Dini) avevano almeno 18 anni di contribuzione sono stati collocati nel sistema retributivo e quindi hanno il calcolo contributivo solo dal 2012 in poi (anno di avvio della riforma Fornero).

Chi al passaggio tra ‘95 e ‘96 aveva invece meno di 18 anni ricade nel sistema misto e si vede applicare il calcolo contributivo da quell’anno in poi, quindi con un peso molto maggiore. Infine ci sono i lavoratori che avendo iniziato a versare contributi dal 1996 in avanti avranno un assegno integralmente contributivo: molti di loro sono probabilmente ancora lontani dalla pensione, ma ricadono nel contributivo puro anche lavoratori più anziani che lo hanno scelto per vari motivi.

tasso rivalutazione pensioni contributive
Il tasso di rivalutazione delle pensioni contributive (Il Messaggero, 25 maggio 2020)

Essendo il PIL crollato dell’8%  in termini nominali risulta solo impercettibilmente superiore a quello del 2015. Il tasso di capitalizzazione è così praticamente nullo,mentre con il Pil nominale che il governo aveva stimato (anche con molta prudenza) a fine 2019 il rendimento sarebbe stato pari all’1,9 per cento circa.

Per chi invece lascia il lavoro nel 2023 oltre alla inconsistente rivalutazione già applicata ce ne sarà un’altra connessa al Pil del 2021; che certo recupererà rispetto all’anno precedente, ma sarà comunque molto più basso di quanto atteso, con un tasso di capitalizzazione pari allo 0,7% circa mentre avrebbe sfiorato il 2%. Facciamo un caso ipotetico: un lavoratore nato nel 1956 che ha iniziato a versare contributi a inizio 1980, proseguendo ininterrottamente, ricade nel sistema misto. Lascerebbe il lavoro nel 2023 a 67 anni con una riduzione della quota contributiva del 2,7%, che sul totale della pensione lorda vuol dire l’1,7 per cento in meno: ad esempio circa 45 euro su un assegno di 2.700 mensili, sempre in termini lordi.

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