Quello che i numeri non dicono: le storie dei morti dimenticati nell’epidemia di COVID-19

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2020-03-27

I numeri del rito collettivo delle 18, i dati sui positivi e sui ricoverati, quelli sui tamponi non ci raccontano cosa sta succedendo davvero in una delle zone più colpite dall’epidemia di SARS-CoV-2. Non raccontano il dramma di chi sa che i suoi cari stanno morendo e nessuno è in grado di aiutare. Il collasso del SSN è qui ed ora nelle nostre case

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È straziante leggere i post pubblicati dagli utenti del gruppo Facebook NOI Denunceremo – Dovranno pagare. Una dolorosissima e interminabile sequenza di post di persone che raccontano la malattia dei propri genitori molti dei quali deceduti a causa di Covid-19. Non c’è una famiglia che non pianga almeno un morto.

Quello che i numeri e le conferenze stampa non raccontano sull’emergenza Covid-19 nella bergamasca

Sono soprattutto persone che risiedono a Bergamo e comuni della bergamasca come Nembro o Alzano Lombardo a scrivere, per raccontare la propria storia, per poter trovare conforto negli altri in un momento in cui anche i funerali sono vietati e non è possibile nemmeno dare un ultimo saluto ai propri cari. I post di persone che annunciano la perdita del papà, della mamma o di tutti e due i genitori sono tantissimi. Impossibile raccontarle tutte. Eppure sono lì, le storie che sfuggono alla fredda cronaca dei numeri e dei bollettini giornalieri che non aiutano a capire quale sia la realtà della situazione. Quelle di chi non ce l’ha fatta e quelle di chi è rimasto da solo con il suo dolore, perché l’isolamento la quarantena non lasciano tregua nemmeno in quei difficili momenti.

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Sono storie che raccontano soprattutto il senso di abbandono, dovuto alla mancanza di informazioni su come prendersi cura dei propri cari, su terapie che non sembrano essere quelle corrette. Oppure di persone che erano positive al Covid-19 quando sono morte ma i parenti lo hanno saputo solo quattro giorni dopo il decesso. Quando dicevano che tanto il virus colpisce soprattutto gli anziani, quasi per consolarci e darci un senso di sicurezza non pensavano a cosa significava ammalarsi di Covid-19 a sessanta o settant’anni.

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Quando sui giornali leggiamo che il sistema sanitario è al collasso, oppure sentiamo assessori che spiegano che manca poco al collasso del SSN nelle zone dell’epidemia facciamo fatica a renderci conto di cosa significhi davvero. Quando vediamo le file di camion dell’Esercito che portano via le bare delle persone decedute perché a Bergamo non si riesce nemmeno a stare dietro a quello non capiamo cosa vuol dire. Significa ad esempio che se ti muore un parente in casa non arriverà l’auto medica, che le pompe funebri non riusciranno a venire perché non hanno i dispositivi di protezione individuale. Significa essere lasciati soli. Oppure significa che quando si chiama la Guardia Medica per far fare una flebo al proprio papà il personale allo stremo non se la sente di farlo. Significa non avere infermieri o operatori sanitari che si prendano cura delle necessità dei malati più fragili, quelli non autosufficienti. Non perché non lo vogliono fare, perché non riescono a farlo.

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Quando assistiamo ai dibattiti sui “morti per Convid” versus i “morti con il Convid” per distinguere quelli che sono morti perché avevano altre due o tre patologie dobbiamo pensare che se non ci fosse l’epidemia quelle persone sarebbero ancora vive. Persone che sono sopravvissute a tumori o infarti che non sono stati visitati dal medico quando hanno iniziato ad avere i primi sintomi. Mogli che si sentono dire al telefono che se non ci sono difficoltà respiratorie l’ambulanza non esce e quando esce magari è troppo tardi.

Nembro, Bergamo i malati e i morti che la Regione non vuole contare

I numeri ci illudono che la situazione sia sotto controllo, trattata asetticamente. Ogni giorno alle 18 siamo appesi davanti alla televisione nell’attesa di farci dire che i contagi sono diminuiti, i decessi sono in calo, i ricoverati gravi sono meno, le terapie intensive si stanno lentamente svuotando e le persone stanno guarendo. Le storie personali ci mostrano qual è la realtà. Che è quella che raccontava il sindaco di Nembro che ieri ha dichiarato che il numero dei morti è completamente sbagliato. «Bisognerebbe almeno moltiplicarli per quattro. La maggior parte sono morti nelle loro case o nella residenza per anziani. Poi non li hanno nemmeno tamponati. Quindi non risultano alle statistiche».

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I numeri non parlano della signora di 80 anni che nessuno ha visitato dopo le chiamate disperate dei familiari. Anche se il compagno era morto – in casa – dopo essere stato mandato a casa perché non aveva una polmonite e quindi non era grave. Non raccontano che molti malati vengono portati in ospedale quando ormai è troppo tardi, e quando ci arrivano non c’è posto, non ci sono le macchine per intubarli. Muoiono anche perché a morire sono medici, infermieri e operatori sanitari: il totale dei medici che hanno ad oggi perso la vita per contagio da nuovo coronavirus è di 44 decessi.

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Fonte: Corriere della Sera

A Nembro, il paese della bergamasca che ha avuto il maggior numero di vittime per il coronavirus, il confronto con le serie storiche è impressionante. In un periodo normale, si legge sul Corriere, il comune avrebbe dovuto avere a fine marzo circa 35 decessi. Quelli registrati quest’anno dagli uffici comunali sono stati 158. E di molti non si sa di cosa sono morti, perché non viene eseguito il tampone post-mortem, non sono stati ricoverati, muoiono in casa.

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La situazione è uguale anche altrove: «A Bergamo, dall’1 al 24 marzo, i decessi dei residenti sono stati 446: 348 più della media degli ultimi anni (98). I decessi ufficialmente dovuti a #Covid19 nel periodo sono 136. Ce ne sono 212 in più» ha scritto su twitter il sindaco di Bergamo Giorgio Gori che ha aggiunto che «con una mortalità all’1,5-2%, i contagiati in città sarebbero tra 17 e 23mila». Questa è una contabilità che in gran parte sfugge a quella ufficiale perché appunto non vengono eseguiti i test.

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Che sono l’unico modo per poter quantomeno circoscrivere il contagio e tenere sotto osservazione le persone che hanno avuto contatti con persone positive o ricoverate per Covid-19. Questo però non è ancora stato fatto. Si è preferito, soprattutto in Lombardia, testare solamente i sintomatici anche quando è noto che vanno testati tutti. E solo oggi il Presidente Fontana ha detto che si farà il test anche a chi presenta un sintomo solo (il problema però è: chi lo farà, se non c’è abbastanza personale).  Si preferisce continuare a raccontare nelle conferenze stampa qual è il numero dei positivi come se questo fosse in qualche modo rappresentativo della realtà quando è chiaro a tutti che non è un dato statisticamente significativo. Se davvero si vuole sconfiggere l’epidemia non è possibile continuare a trattare i singoli casi come se fossero isolati. La voce di questi post è la voce di una comunità che al di là della rabbia e del dolore chiede che si prendano misure di contenimento collettivo perché non si deve e non si può lasciare indietro nessuno.

Leggi anche: Coronavirus: il rischio di una seconda ondata dell’epidemia

 

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