Matteo Renzi e il nuovo miracolo italiano (spiegato)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-03-02

La verità e la propaganda: positiva la revisione del PIL, ma la composizione dell’incremento non promette nulla di buono e la congiuntura neppure. Ottima e inaspettata la notizia dell’incremento dell’occupazione ma vale solo per i lavoratori “anziani” mentre disoccupazione giovanile e inattività aumentano. La differenza tra le buone notizie e le notizie buone

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Ieri un nuovo miracolo italiano è accaduto in occasione della pubblicazione dei dati Istat su crescita e occupazione. Matteo Renzi ha celebrato l’intervento divino con un post su Facebook che ha dato la linea ai principali mezzi d’informazione di questo paese nell’apertura corale – a parte qualche stonatura – di oggi: Il Sole 24 Ore parla di incremento del PIL e dell’occupazione, il Corriere della Sera apre con la crescita che torna dopo tre anni mentre La Repubblica concentra l’attenzione sull’export che favorisce il PIL. Il nuovo miracolo italiano andrebbe però spiegato, anche se si rischia di commettere peccato di lesa maestà. E allora proviamoci, senza voler interrompere quell’aura che raccoglie tutte le apparizioni del Divino nell’umana realtà ma con l’occhio un po’ più acuto di quello dei titolisti dei giornali.
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Matteo Renzi e il nuovo miracolo italiano (spiegato)

Il primo dato importante di ieri riguarda la crescita del Prodotto Interno Lordo, che l’Istat ha corretto al rialzo.  Nel 2015 il Pil italiano è aumentato dello 0,8%, tornando a crescere dopo tre anni di cali. Una prima stima dell’Istat, diffusa a metà febbraio e basata sui trimestri, aveva dato il Pil a +0,7%. La previsione contenuta nella nota di aggiornamento al Def dello scorso settembre invece indicava un +0,9%.  Ai massimi è arrivato il debito italiano, arrivato al 132,6% del Pil, al top dal 1995, da quando cioè sono state ricostruite le serie storiche. In valore assoluto, il debito del 2015 si attesta a circa 2.170 miliardi di euro, un livello record. Il governo ha invece centrato l’obiettivo del deficit: il 2,6% dello stesso Pil, contro il 3% del 2014. Il debito ha comunque conseguito un risultato positivo e migliore rispetto all’obiettivo del governo (132,8%). «Il che potrebbe aiutare lo stesso esecutivo, che ha assoluto bisogno quest’anno di invertire la tendenza all’aumento del debito e punta al 131,4%», commenta oggi Enrico Marro sul Corriere. La prima questione che va spiegata è semplice: come mai l’Istat ha rivisto al rialzo il PIL? La decisione, ha sostenuto l’istituto di statistica, è soltanto tecnica: l’economista dell’università di Piacenza Francesco Daveri ne ha chiesto il motivo all’istituto sul social network:
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E questa è stata la spiegazione dell’istituto: «Da sempre la stima dei dati annuali, proveniente dal sistema completo di calcolo, è quella del primo marzo e risulta diversa, nelle componenti e nel totale, da quella implicita nelle stime preliminari; quest’anno la differenza per il PIL è un decimo di punto e porta allo 0,8%». Nessun complotto quindi ma una normale e abituale procedura (infatti anche l’anno scorso è stata effettuata una correzione) con un arrotondamento che ha portato un guadagno di un decimo di punto. Che sembra poco ma ha ripercussioni su tutti gli altri parametri e paradossalmente potrebbe anche aiutare il governo nelle battaglie con Bruxelles.
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Cosa si può dire di risultati del genere? Sul Sole 24 Ore è Guido Gentili a dimostrare che nei giornali è più importante leggere gli articoli dei titoli:

 Cosa si può dire di una grande potenza industriale che rivede la luce (+0,8% il Pil alla fine del 2015) dopo tre anni consecutivi di caduta (2,8%, -1,7%, -0,3%) col segno meno davanti ma che trova la Germania a +1,7%, la Francia a +1,2%, Usa e Regno Unito ben oltre il 2%? E che dire ancora di questo +0,8% finale (il Governo aveva previsto +0,9%) ma frutto nel corso del 2015 di un andamento tutto al ribasso? Il chiaro e lo scuro. Guardando ai saldi della finanza pubblica si legge che il deficit in rapporto al Pil è pari al 2,6%, il risultato migliore dal lontano 2007 (1,5%), ma si constata anche che il saldo primario al netto degli interessi che paga lo Stato è all’1,5%, in caduta costante dal 2012 (2,2%).
Vero, il debito pubblico (132,6% in rapporto al Pil, meno del 132,8% previsto dal Governo, 2.170 miliardi in valore assoluto, livello record) è cresciuto solo dello 0,1% rispetto al 2014 e la pressione fiscale è scesa al livello più basso dal 2011, il 43,3%, dal 43,6% del 2014. Ma parliamo sempre di dati abnormi, al pari della spesa totale (-0,1% e va segnalata la positiva inversione di tendenza, dopo molti anni, nella crescita degli investimenti fissi lordi) che comunque si colloca al 50,4% in rapporto al Pil a fronte del 47,8% relativo alle entrate totali.

Insomma, spiega Gentili, siamo di fronte a una ripresa debole che è messa a rischio dal rallentamento dell’economia mondiale, a dimostrazione del fatto che l’Italia non è leader ma follower in Europa come (e figuriamoci) nel mondo. Sembra difficile, se non impossibile, perseguire gli obiettivi di crescita nel 2016 (+1,6% del PIL e +1% dell’inflazione) proprio a causa di quello che sta succedendo nel mondo. In più, la variazione delle scorte è stata responsabile della crescita del PIL per uno 0,5. Questa è l’attuale situazione del nuovo miracolo italiano. Chi ve la racconta diversamente dice balle.

I numeri belli sull’occupazione (con un però…)

Un altro discorso va invece fatto sull’occupazione. Partendo da un numero “bello”, come direbbe la maestra del bambino che ha inventato “petaloso”: il 2016 si apre con un balzo in avanti degli occupati, che a gennaio sono 70mila in più rispetto a dicembre 2015, frutto di una crescita di 99mila dipendenti con contratto permanente e di una contrazione di 28mila occupati a termine e di mille autonomi. È una notizia meravigliosamente positiva perché a dicembre la crescita dell’occupazione aveva rallentato e il mese era l’ultimo in cui si poteva attivare la decontribuzione piena prevista dal computo di norme sul mercato del lavoro varate l’anno scorso dal governo. La decontribuzione era considerata il vero driver della crescita dei posti di lavoro (e lo è ancora), ma oggi c’è un dato che, se confermato nel medio periodo, potrebbe smentire questa analisi, perché proprio nel mese in cui gli incentivi pieni si concludono la crescita dell’occupazione è superiore rispetto al mese precedente: ci si aspettava un effetto contrario, non è detto che continuerà, la stima potrebbe essere viziata da un errore statistico, ma per ora è una notizia splendida. Ma i numeri vanno guardati il più possibile da vicino per comprenderli appieno. E allora scendendo più nel dettaglio si scopre che il nuovo miracolo italiano non ha funzionato per tutti, anzi.

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I numeri sull’occupazione (Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2016)

E così, guardando i numeri con la lente ci si accorge che:
a) l’incremento dell’occupazione è osservabile per il maggior numero in una sola classe di età, ovvero gli over 50. Questo fa comprendere che si tratta di assunzioni di “anziani” e non di giovani

b) Nella fascia d’età 35-49 anni sono stati persi in un anno 69mila posti di lavoro:


c) Questo grafico ci conferma che non è un lavoro per giovani:


A questo si può aggiungere che il tasso di disoccupazione cala in tutta Europa mentre da noi rimane all’11,5%, mentre la disoccupazione giovanile addirittura aumenta così come il computo degli inattivi. Tutto ciò serve a spiegare che la ripresa italiana è fragile e l’innegabile ripresa del mercato del lavoro soffre di sbalzi e disparità che dovevano essere cancellate dai provvedimenti legislativi, i quali stanno fallendo questo obiettivo. Il nuovo miracolo italiano, guardato più da vicino, è molto meno miracoloso di quello che sembra. I governi dovrebbero occuparsi di questo invece che della propaganda.

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