Cosa c'è dietro l'omicidio di Mario Luciano Romito

Una faida tra clan all'interno di una guerra di mafia che dura da trent'anni. Scoppiata per questioni di abigeato e poi trasformatasi in lotta per il controllo del territorio e dei traffici illeciti. Una struttura basata su vincoli familiari nella quale l'ascesa di nuove leve porta a contrasti che vengono risolti con il kalashnikov

Luigi e Aurelio Luciani, 47 e 43 anni, agricoltori di San Marco in Lamis, incensurati, ieri sono stati ammazzati perché si trovavano al posto sbagliato nel momento sbagliato. Hanno visto chi ha sparato a Mario Luciano Romito, boss pugliese, e al suo autista Matteo De Palma.



La faida tra clan dietro l’omicidio di Mario Luciano Romito

Romito, 50 anni di Manfredonia, ha subito un agguato con un kalashnikov AK 47 e un fucile calibro 12, in risposta al duplice omicidio del 20 giugno scorso, quando ad Apricena furono ammazzati Antonio Petrella e Antonio Ferrelli. Tutto nasce da una faida in corso da un decennio tra i Romito e il clan Li bergolis: i primi hanno collaborato con i carabinieri per incastrare i secondi, che hanno voluto fargliela pagare così dopo che un attentato all’automobile di Romito non è andato a segno qualche mese fa.

I clan del foggiano (La Repubblica, 10 agosto 2017)

Romito era libero da sei giorni, dopo che il tribunale del riesame lo aveva scarcerato. I killer sono giunti dalla direzione opposta rispetto a quella delle vittime, hanno sbarrato la strada a De Palma, costringendolo ad uscire dalla carreggiata. A quel punto è partita una trentina di proiettili, esplosi da un kalashnikov, una pistola e un fucile a canne mozze. Romito e De Palma sono rimasti intrappolati nella vettura e sono stati uccisi senza che potessero reagire.

Una nuova guerra di mafia

Dopo i killer hanno ucciso i due agricoltori che avevano visto cosa stava succedendo: uno dei due viene colpito mentre è ancora in automobile, l’altro mentre tentava di scappare a piedi. Giuliano Foschini su Repubblica oggi spiega che “in Italia c’è una mafia silenziosa che, grazie alla distrazione e spesso alla collusione di politica e opinione pubblica, si è presa un pezzo del nostro paese: Gargano, Foggia, San Severo, Cerignola, lo Stato latita, loro sono ovunque. Si chiamano Romito, Li Bergolis, Ciavarella, Moretti, Pellegrino, Lanza, Francavilla, Chiarulli. «280 omicidi di mafia irrisolti dagli anni ’70 a oggi — dice il procuratore Volpe — 35 negli ultimi due anni, 18 quest’anno, eppure se si chiedesse a qualcuno per strada qualcosa sulla mafia foggiana, risponderebbe: «Cosa?” Qui c’è una guerra. Ma non lo sa nessuno»”.

La ricostruzione degli omicidi (Corriere della Sera, 10 agosto 2017)

La guerra di mafia è sotterranea: “T’aggh mangia u cor”, dicono, intercettati, i mafiosi del Gargano per spaventare i rivali. Il business invece si basa sul pizzo e sulle droghe:



Non passa giorno che sulle coste del Gargano le forze di polizia non raccolgano pacchetti di marijuana lasciati cadere dalle barche dei narcos. I foggiani sono i migliori interlocutori degli albanesi che in questo momento, in Italia e in Europa, sono i migliori broker di droga: marijuana di produzione propria, cocaina ed eroina. «Dall’inizio dell’anno — dice Volpe — abbiamo sequestrato 24 tonnellate di erba. Significa che n’è passata almeno 10 volte tanto». Tradotto, sono un miliardo e 200 milioni di erba transitate per le coste pugliesi.

La faida del Gargano

La faida del Gargano è una guerra scoppiata per questioni di abigeato e poi trasformatasi in lotta per il controllo del territorio e dei traffici illeciti. La piu’ nota è quella tra i Li Bergolis e gli Alfieri-Primosa di Monte Sant’Angelo. Una guerra iniziata oltre 30 anni fa e scandita da oltre 30 omicidi, altrettanti tentativi di omicidio e decine di casi di Lupara bianca. Un tempo alleati dei Li Bergolis e del capo famiglia Francesco, detto “Ciccillo” vi erano anche i Romito. Poi l’alleanza subì una rottura e anche queste due famiglie entrarono in guerra uccidendosi tra loro. Un’altra faida è quella di San Nicandro Garganico tra i Tarantino e i Ciavarrella. Tutto inizio’ con il furto di un bovino. La catena di delitti comincia il 28 marzo del 1981 quando scompaiono nel nulla – forse inghiottiti per sempre da una delle grotte garganiche o, secondo alcuni, dati in pasto ai maiali – cinque componenti della famiglia Ciavarrella: Matteo, di 57 anni, la moglie Incoronata Gualano, di 55, e i tre figli, Nicola, Giuseppe e Caterina, di 17, 16 e 5 anni.

Le famiglie del Gargano (Il Messaggero, 10 agosto 2017)

Per questa strage viene condannato all’ergastolo Giuseppe Tarantino, primo di otto fratelli. Matteo aveva testimoniato nel processo del furto di bovino e doveva essere vendicato. Diciassette gli omicidi contati sino ad oggi che hanno l’unico obiettivo di eliminare il rivale che porta quel cognome. E quando tutti i Tarantino o i Ciavarrella sono terminati si passa ad eliminare i cognati. Una faida che racconta anche la storia di una donna, diventata collaboratore di giustizia, che prima e’ sposata ad un Tarantino e poi diventa l’amante di un Ciavarrella. Poi c’è l’ultima guerra, quella che si sta svolgendo a Vieste dopo il vuoto di poter creato dall’omicidio di Angelo Notarangelo, detto “Cintaridd”, ucciso nel gennaio del 2015, secondo alcuni da qualcuno che gli era amico e che voleva scavalcarlo. Famiglie in guerra tra loro ma che a seconda della convenienza si alleano anche con qualche clan della Società, la mafia di Foggia. Una guerra tra ex allevatori ora diventanti imprenditori dei traffici illeciti, tra cui la droga e le estorsioni.



La strage di San Marco in Lamis

A livello regionale, scrive la Dia nell’ultima relazione al Parlamento, “il panorama delinquenziale continua a caratterizzarsi per i costanti mutamenti, dovuti anche all’emersione di nuovi gruppi” che si affiancano alle principali formazioni mafiose, “storicamente radicate nelle province di Lecce, Taranto e Brindisi”. Le attività criminali più diffuse sono l’usura, le estorsioni, lo spaccio di droga e il gioco illecito. La criminalità foggiana si caratterizza invece per la sua “eterogeneità”: sono molti i gruppi criminali sulla scena, senza un organo decisionale condiviso. Ognuno agisce per conto proprio, anche se “i diversi sodalizi risultano spesso convergere in sinergie operative finalizzate al perseguimento di obiettivi criminali comuni”.

Mario Luciano Romito

A ciò si aggiunga “un contesto ambientale omertoso e violento, con una sempre maggiore commistione tra criminalità comune e organizzata”. Con specifico riferimento all’area garganica, poi, lo scenario – sottolinea la Dia – “è molto instabile”. Essenzialmente per due fattori: “la presenza di gruppi a forte organizzazione verticistica, basati essenzialmente su vincoli familiari e non legati tra loro gerarchicamente” e “l’ascesa delle giovani leve desiderose di colmare i vuoti determinati dalla detenzione di elementi di spicco”, in particolare quelli appartenenti al clan Libergolis, o “dei Montanari”.