Ma il Giappone in stato di emergenza fino al 31 maggio è lo stesso che doveva curare COVID-19 con l’Avigan?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-07

Anche i medici giapponesi, nonostante un numero complessivo di contagi apparentemente molto ridotto rispetto ad altri Paesi, sono alle prese con una lunga ed estenuante battaglia contro il nuovo coronavirus, nonostante il blocco della circolazione determinato dallo stato di emergenza, prolungato dal governo fino al 31 maggio. Ma non doveva essere tutto a posto grazie ad Avigan?

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Ieri vi abbiamo raccontato che la Russia che secondo alcuni intelligentoni non aveva problemi con COVID-19 perché curava i malati con l’Abidol in realtà sta vivendo una situazione di grandissima difficoltà, con 10mila casi al giorno e il consenso di Vladimir Putin che scricchiola.

Ma il Giappone in stato di emergenza fino al 31 maggio è lo stesso che doveva curare COVID-19 con l’Avigan?

Oggi esaminiamo il caso di un altro “Miracolo dell’Internet”, ovvero quello del Giappone che aveva “il farmaco che cura il Coronavirus” (cioè l’Avigan) e quindi tutto andava alla grande da quelle parti. E invece anche i medici giapponesi, nonostante un numero complessivo di contagi apparentemente molto ridotto rispetto ad altri Paesi, sono alle prese con una lunga ed estenuante battaglia contro il nuovo coronavirus, nonostante il blocco della circolazione determinato dallo stato di emergenza, prolungato dal governo fino al 31 maggio. L’ospedale universitario St. Marianna di Kawasaki è stato uno dei primi in Giappone a convertire parti della sua unità’ di terapia intensiva (ICU) in letti per persone affette dal nuovo coronavirus e, da quando l’epidemia ha raggiunto il Giappone per la prima volta a febbraio, Shigeki Fujitani, professore e direttore di medicina d’urgenza e di terapia intensiva presso l’ospedale, ha messo in guardia che si sarebbe trattato di un problema dai tempi molto lunghi. “Continuiamo la nostra battaglia da più di tre mesi”, ha dichiarato Fujitani durante l’ennesima intensa giornata in ospedale. “Penso che ci sono molti professionisti che stanno già avvertendo una notevole quantità di stress… la nostra sfida da ora in poi sarà quella di alleggerire questo stress e continuare a combattere con un’ottica di lungo termine”.

I casi segnalati di coronavirus in Giappone hanno superato i 15.000 e più di 500 persone sono morte. A livello globale, oltre 246.000 persone sono morte a causa del virus. Fujitani ha affermato che un’estensione dello stato di emergenza potrebbe aiutare a frenare le nuove trasmissioni del virus, ma i test estesi stanno rilevando sempre più casi nascosti. Altra preoccupazione, sempre secondo Fujitani, è quella di riuscire a mantenere una fornitura adeguata di dispositivi di protezione individuale come maschere N95 e tute protettive. “Stiamo affrontando una situazione in cui non sappiamo quando gli N95 diventeranno scarsi. Se altre strutture dovessero fronteggiare un focolaio o altre prefetture iniziassero ad utilizzarne di più, i nostri mezzi diventeranno di colpo insufficienti”. E non è tutto. Perché intanto anche l’isola di Hokkaido, la prima area del Giappone a dichiarare lo stato di emergenza per l’epidemia di coronavirus, è di nuovo sotto i riflettori come caso di studio per il rischio che un lockdown troppo breve possa condurre a una seconda ondata di contagi. Hokkaido aveva dichiarato lo stato di emergenza il 28 febbraio, dopo che nella regione erano stati accertati 66 casi di Covid-19. Le autorità locali avevano chiesto la chiusura di scuole, ristoranti ed esercizi commerciali e di evitare gli assembramenti. Le prime misure avevano dato risultati incoraggianti, tanto che i nuovi casi di contagio giornalieri erano crollati, e già a metà marzo il governo locale aveva deciso di revocare le restrizioni. La prefettura aveva permesso il ritorno degli studenti a scuola a partire dall’inizio di aprile, negli stessi giorni in cui il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, dichiarava lo stato di emergenza per Tokyo, Osaka e altre cinque prefetture, preludio allo stato di emergenza a livello nazionale.

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La lezione di Hokkaido, ha spiegato alla Bbc Kanji Shibuya, direttore dell’Institute for Population Health del King’s College di Londra, è che è relativamente facile controllare i singoli focolai di infezione, come avvenuto a Daegu, nel sud-est della Corea del Sud, ma il governo di Tokyo non ha agito con la stessa tempestività di quello di Seul nella fase successiva, estendendo i test per il coronavirus tra la popolazione. La paura di ingolfare gli ospedali e l’impossibilità delle autorità sanitarie locali di effettuare test di massa hanno rallentato la risposta del Giappone all’epidemia. “La lezione più grande da apprendere da Hokkaido”, ha spiegato Shibuya, “è che anche se hai successo nel contenimento la prima volta, è difficile isolare e mantenere il contenimento per un lungo periodo. A meno che non espandi la capacità di fare test, è difficile identificare la trasmissione all’interno della comunità e degli ospedali”. Il Giappone, nell’opinione del ricercatore, ha poche possibilità di evitare che la seconda ondata di contagi si protragga a lungo. Al quadro sanitario si aggiungono i danni economici: Hokkaido, largamente dipendente dall’agricoltura e dal turismo, ha visto andare in bancarotta almeno 50 aziende del settore alimentare e crollare il numero di turisti, dopo il divieto di ingresso in Giappone per chi arriva da Stati Uniti, Europa e da altri Paesi asiatici.

L’Avigan e le cure miracolose per il Coronavirus

Intanto un paio di giorni fa il New York Times ha dedicato un articolo proprio all’Avigan, ricordando come il premier Abe abbia stanziato quasi 130 milioni di dollari per triplicare la scorta esistente del farmaco e si sia offerto di fornirlo gratuitamente a dozzine di altri Paesi. Il primo ministro, tuttavia, ha sorvolato su un fatto cruciale: non ci sono ancora prove concrete che l’Avigan sia effettivamente efficace contro Covid-19.

Mentre il farmaco ha mostrato un potenziale per il trattamento di alcune malattie mortali come l’Ebola negli studi sugli animali, ci sono risultati limitati che funzioni per qualsiasi malattia negli esseri umani. Ciò che Avigan, il cui nome generico è favipiravir, ha una storia normativa particolare e un potenziale effetto collaterale pericoloso: lo stesso Abe ha detto in una conferenza stampa che l’effetto collaterale è “lo stesso della talidomide”, che ha causato deformità in migliaia di bambini negli anni ’50 e ’60. L’attivismo del primo ministro ha contribuito a far entrare Avigan in oltre 1.000 strutture mediche in Giappone, e il ministero degli Esteri del Paese dice che quasi 80 Paesi hanno richiesto il farmaco. Alla televisione giapponese, i medici definiscono la pillola una possibile salvezza globale, e le celebrità che l’hanno presa hanno offerto testimonianze positive.

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Ma queste prove sono del tutto aneddotiche, ha detto Masaya Yamato, capo delle malattie infettive al Rinku General Medical Center di Osaka, che ha fatto parte di un panel governativo del 2016 che ha considerato il farmaco come l’ultima linea di difesa contro nuovi tipi di influenza. “Non sto dicendo che questo farmaco non funzioni”. Sto dicendo che non ci sono ancora prove che funzioni”, ha detto il dottor Yamato. Una portavoce di Fujifilm, Kana Matsumoto, ha detto che l’azienda sta conducendo test clinici in Giappone e negli Stati Uniti “per ottenere prove sostanziali dell’efficacia del farmaco” contro il Covid-19. Avigan è potenzialmente prezioso perché funziona in modo diverso dalla maggior parte degli altri antivirali, interferendo con la riproduzione dei virus, invece di impedirne l’ingresso nelle cellule.

Il NYT conclude ricordando che finora 1100 strutture mediche giapponesi hanno dato l’Avigan a quasi 2.200 pazienti di Covid-19, con più di mille in lista d’attesa per il farmaco, secondo i dati del governo. Molte di queste strutture non applicano controlli scientifici rigorosi, come il doppio cieco e l’uso di placebo. Essi sostengono che i potenziali benefici superano i rischi, soprattutto negli anziani, per i quali è improbabile che il problema dei difetti congeniti sia un problema. Sull’onda del video su Facebook dell’epoca persino in Italia venne dato l’ok alla sperimentazione del medicinale (un caso di studio di autorizzazione all’uso di un farmaco fornita a furor di Facebook). Siamo tutti in attesa di conoscerne i risultati.

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