Economia

Lockdown: chi ci perde e chi ci guadagna

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-04-20

I primi numeri su marzo, mese di avvio del lockdown, li ha appena diffusi la Confcommercio, relativamente alle vendite al dettaglio rispetto allo stesso mese del 2019. Il comparto alimentare ha registrato un +9,6%, perché le famiglie hanno mangiato di più a casa e hanno fatto scorte di cibo; più 4% la vendita di prodotti farmaceutici e terapeutici; più 8% i servizi di telecomunicazione, dato che internet è l’unico mezzo che consente di lavorare da casa e di restare in contatto con parenti e amici

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Milena Gabanelli e Fabrizio Massaro sul Corriere della Sera oggi spiegano chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato dal lockdown per l’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19. Il Centro Studi di Confindustria (CsC) ha calcolato che a marzo, primo mese di lockdown, la produzione industriale è precipitata del 16,6% rispetto a febbraio. Secondo il Fondo Monetario internazionale il Pil 2020 dell’Italia crollerà del 9,1%, il decremento peggiore dalla Seconda guerra mondiale.

Secondo i calcoli dell’Istat sono rimaste ferme metà delle imprese presenti in Italia: il 49% del totale, ovvero 2,2 milioni, che danno lavoro a 7,4 milioni di persone (di cui 4,9 milioni di dipendenti). Per quel che riguarda l’altra metà l’Istat ha presentato alla commissione Bilancio del Senato i conti aggiornati: sono rimaste aperte 2,3 milioni di imprese (il 51 % del totale), con 9,3 milioni di addetti di cui 6,8 milioni dipendenti.

Queste imprese nel 2019 hanno rappresentato un fatturato di 1.373 miliardi (57,4%), un valore aggiunto di 464 miliardi (59,3%) e un valore delle esportazioni di 146 miliardi (35%). In generale, su 23,3 milioni di occupati totali, circa 16 milioni sono rimasti al loro posto, in quei settori di attività ancora attivi. Una sorta di zoccolo duro del Pil italiano. Ma questo in teoria, perché una cosa è il «potenziale aperto», un’altra è quello che si è davvero prodotto.

lockdown chi ci perde e chi ci guadagna

Lockdown: le imprese ferme e quelle al lavoro (Corriere della Sera, 20 aprile 2020)

In questo scenario tremendo, a qualcuno è andata bene:

I primi numeri su marzo, mese di avvio del lockdown, li ha appena diffusi la Confcommercio, relativamente alle vendite al dettaglio rispetto allo stesso mese del 2019. Il comparto alimentare ha registrato un +9,6%, perché le famiglie hanno mangiato di più a casa e hanno fatto scorte di cibo; più 4% la vendita di prodotti farmaceutici e terapeutici; più 8% i servizi di telecomunicazione, dato che internet è l’unico mezzo che consente di lavorare da casa e di restare in contatto con parenti e amici.

Solo chi lavora e produce in questi settori nel 2020 potrà dire di averla scampata. Ma ancora non è detto: serve che a maggio si esca dall’emergenza sanitaria, che ci sia una ripartenza graduale durante l’estate e che gli Stati investano massicciamente per stimolare la ripresa. Se queste condizioni si verificheranno, nelle statistiche si vedranno dei segni «più». Gli economisti di Prometeia stimano per l’intero anno un +6,5% nei consumi interni per alimentari e bevande, +4,4% per il largo consumo, +3,9% per sanità e assistenza sociale, +3,6% per la farmaceutica, +2% per i beni intermedi, e +1% in poste e telecomunicazioni. Per tutti gli altri settori se ne riparla, forse, nel 2021.

In sostanza c’è da attendersi che il fatturato complessivo dell’alimentare cali a fine anno del 4,6% dato che in tanti, avendo meno soldi in tasca e temendo magari un contagio, preferiranno mangiare in casa piuttosto che fuori. A livello di ricavi cresceranno solo la farmaceutica, +3,9%, e la sanità e l’assistenza sociale (+2,9%), dato che ci sarà una domanda sempre più forte di farmaci e di dispositivi di protezione individuale e prodotti per l’igiene e la casa.

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