Le accuse a Bankitalia e i veri errori sulle banche in crisi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-10-20

La mozione di Matteo Renzi che ha sconvolto il Partito Democratico ha almeno il merito di ricordarci che la vigilanza bancaria in questi anni è stata ballerina e ha contribuito a soffiare sul fuoco della crisi degli istituti di credito

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La polemica nata intorno alla mozione del Partito Democratico che voleva-non voleva mettere in discussione il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco fa ritornare d’attualità la questione del ruolo di via Nazionale nella gestione delle crisi bancarie degli ultimi anni. Una gestione non esente da errori, come ricorda oggi Andrea Greco su Repubblica: ovvero “un’azione poco incisiva di controllo e suasion sugli istituti più fragili, e un carisma decrescente per la moltiplicazione dei controllori (come Bce ed Eba) che tolgono peso e funzioni al Direttorio guidato da Ignazio Visco”.

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La somma degli aumenti di capitale bancari (La Repubblica, 20 ottobre 2017)

In Italia dieci banche sono saltate dal novembre 2015, con un costo calcolato per difetto di 61 miliardi di euro, suddivisi tra loro azionisti e obbligazionisti, contribuenti (malgrado dal 2016 la direttiva BRRD imponga agli investitori di pagarsi le perdite), altri istituti che hanno aperto i caveau per evitare il contagio. Per arrotondare si possono aggiungere i 70 miliardi di ricapitalizzazioni bancarie e si arriva alla discreta somma di 130 miliardi di euro, l’intero costo per il sistema delle gestioni allegre del credito durante la crisi da parte di banchieri e manager. Con molto in comune, spiega Greco:

I nodi bancari venuti al pettine negli anni dei governi Renzi-Gentiloni sono comunque una ferita aperta per la categoria e chi la controlla. E’ facile, anche se ex post, trovare elementi comuni in tutti i dissesti del credito italiano recente: Mps e Carige, le popolari come Vicenza, Veneto Banca, Etruria, Marostica, la Banca delle Marche, le Casse di Chieti, Ferrara, Teramo, Cesena, Rimini, San Miniato. Quasi ovunque i protagonisti della crisi erano istituti con un pessimo modello di gestione, centrato su un presidente o un amministratore delegato forte e da vent’anni al potere.
Nei tempi lunghi, avevano “catturato” i controlli interni (revisori, sindaci, amministratori indipendenti), offrendo di volta in volta rinnovi di poltrone o crediti erogati per miliardi in conflitto di interesse a chi li doveva tenere d’occhio. E la loro bandiera strategica era sempre il territorio, in chiave difensiva o di conquista dei campanili altrui. Uno schema ripetuto alla noia dai vari Berneschi, Zonin, Mussari, Consoli.

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I costi per il sistema (La Repubblica, 20 ottobre 2017)

Il credit crunch che ha messo in ginocchio tutti gli istituti bancari d’Europa, insomma, è venuto ad innestarsi nello specifico territoriale italiano, fatto di banchieri di provincia che fanno favori a chi è in provincia, e se poi i soldi non tornano indietro pazienza, ci penserà il territorio a ripianare le perdite. Tutto ha funzionato così per anni, con la complicità della politica locale (e chiare responsabilità dei vertici nazionali, visto che tutti sappiamo chi sceglie i vertici della Fondazione Monte dei Paschi di Siena), e tutto ha smesso di funzionare quando la crisi ha cominciato a colpire gli istituti di credito. In tutto ciò Bankitalia ha seguito il principio della moral suasion, in modo da spingere a politiche di bilancio più severe o a integrazioni in altri gruppi più solidi le controllate. Questa pratica però presuppone la scelta di “banchieri forti” su cui puntare in caso di bisogno per creare nuovi poli. Talvolta, anche per mancanza di materia prima, la scelta dell’uomo forte si è rivelata sbagliata. E poi ci sono le questioni come i finanziamenti baciati, ovvero quelli concessi ad azionisti o obbligazionisti in cambio dell’acquisto di titoli:

Nemmeno i finanziamenti baciati per oltre un miliardo, scoperti sulle banche venete dalla Bce, sono emersi prima: anche se in Bankitalia l’episodio è bollato come «sfortuna», perché gli ispettori ci stavano arrivando a cavallo della staffetta con Francoforte. Anche su Etruria, la banca che più interessa Renzi in asse con Maria Elena Boschi, il cui padre ne fu vice presidente, il palleggio di controlli incrociati e responsabilità tra gli uomini di Visco e la Consob è stato pasticciato, a tutte spese dei 10 mila clienti che hanno perso milioni in bond. In egual modo le scorribande dei signori del credito (facile) di Banca Marche, Ferrara e simili non sono state fermate abbastanza: se ne occupano da anni gli inquirenti locali.

La Vigilanza di Bankitalia ha quindi responsabilità precise, anche se più “politiche” che “tecniche”. Non basterà una mozione sbagliata a farle dimenticare.

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