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Come in Germania e in Giappone l’allentamento del lockdown ha fatto risalire i contagi
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-04-28
Nel paese di Angela Merkel da marzo, per la prima volta, una persona ne contagia un’altra. L’appello del Robert Koch Institute: “Restate a casa”. Anche l’isola di Hokkaido, la prima area del Giappone a dichiarare lo stato di emergenza per l’epidemia di coronavirus, è di nuovo sotto i riflettori come caso di studio per il rischio che un lockdown troppo breve possa condurre a una seconda ondata di contagi
Il tasso di contagio da Coronavirus in Germania è tornato a salire dopo l’allentamento delle misure di lockdown: da marzo, per la prima volta, una persona ne contagia un’altra. Il Robert Koch Institut ha fatto sapere che nel paese sono registrati 156.337 casi di contagio e 5.913 vittime. Esattamente come paventava Angela Merkel nel video in cui spiegava come funziona la curva del contagio.
Come in Germania e in Giappone l’allentamento del lockdown ha fatto risalire i contagi
Nel frattempo anche il tasso di mortalità per la malattia è aumentato di giorno in giorno. Secondo i dati dell’RKI, ieri ha raggiunto il 3,8 per cento, che rimane ben al di sotto di alcuni Paesi vicini come la Francia. Il governo federale di Berlino e le regioni – che hanno concordato l’allentamento delle restrizioni già attuato – hanno in programma per giovedì nuove consultazioni destinate a preparare la strada a possibili ulteriori revoche delle norme di confinamento.
#germania l'istituto koch ha corretto il tasso di contagio a 0,9: è più corretto parlare di un plateau e non di picco: è la cifra degli ultimi giorni, risalita dallo 0,7 di metà aprile. ma come dice l'istituto stesso, non va preso come unico parametro per l'andamento del covid19
— tonia mastrobuoni (@mastrobradipo) April 28, 2020
Nuove decisioni in materia potrebbero essere prese il 6 maggio. I decessi risultano 110 in un giorno a un totale di 5.750. Sono inoltre 114.500 i pazienti guariti, con un aumento di 2.500 circa rispetto al precedente rilevamento.
Lothar Wieler, direttore del Robert Koch Institute, ha fatto un appello ai suoi connazionali: “Non vogliamo che il numero di casi aumenti di nuovo. Non vogliamo che il sistema sanitario venga sopraffatto. Non vogliamo che più persone muoiano di Covid 19”. “Continuiamo a rispettare le restrizioni nei contatti, a tenere almeno 1,5 m di distanza l’uno dall’altro e indossare una copertura su naso e bocca nei trasporti pubblici e nei negozi”. Mentre il paese entra nella fase 2 dell’allentamento delle restrizioni, l’indice di contagio risale dallo 0,9 all’1 per cento. A differenza di altri paesi, la Germania è stata finora in grado di tenere la diffusione sotto controllo con grande successo. “Vogliamo difendere questo successo.” Wieler ha poi sottolineato come l’indice di contagio non vada mai estrapolato dal contesto e considerato a sé ma sempre in parallelo con gli altri dati.
Come la Germania ha affrontato il lockdown per il Coronavirus
La Germania ha visto il suo primo caso accertato di Coronavirus il 27 gennaio scorso, prima dei due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani il 30 marzo. Il 22 marzo il governo ha chiuso le scuole ma ha lasciato aperte le industrie e non ha costretto alla quarantena i suoi cittadini. La riapertura delle attività commerciali di non oltre 800 metri quadri è ripartita ad aprile (ma nel frattempo la corte costituzionale tedesca ha giudicato incostituzionale il divieto per quelle più grandi) mentre dal 22 aprile sono possibili gli “assembramenti” (tipo quelli di Conte) di non più di 20 persone. L’obbligo di mascherine risale a ieri, mentre è programmata per il 4 maggio la riapertura delle scuole e dei parrucchieri. Gli eventi all’aperto e le messe non potranno avere più di 50 partecipanti, mentre si è programmata per il 15 giugno la riapertura di bar e ristoranti.
E nel frattempo è intervenuta la polizia per le ripetute minacce di morte al volto più conosciuto dei virologi tedeschi, Christian Dorsten, direttore dell’istituto di virologia presso la clinica universitaria della Charité di Berlino. È quanto ha reso noto lui stesso in un’intervista a The Guardian, ripresa dalla testata tedesca Die Welt e da Dpa. Per molti tedeschi Drosten rappresenta “il cattivo” che danneggia l’economia e costringe a casa i cittadini, ha detto il virologo. Già sul suo podcast in onda sull’emittente Ndr (Norddeutschen Rundfunk) si era lamentato delle molte minacce di morte ricevute. Nell’intervista lo scienziato parla di un “paradosso della prevenzione” in Germania: la gente vede che gli ospedali sono in grado di far fronte alla situazione e quindi non capisce la chiusura delle attività, dai negozi alle scuole. Secondo il medico invece è proprio per l’effetto della prevenzione e dei tanti test che nel Paese non si sono verificate al momento situazioni paragonabili alla Spagna o agli Stati Uniti.
Il caso del Giappone
E non è tutto. Perché intanto anche l’isola di Hokkaido, la prima area del Giappone a dichiarare lo stato di emergenza per l’epidemia di coronavirus, è di nuovo sotto i riflettori come caso di studio per il rischio che un lockdown troppo breve possa condurre a una seconda ondata di contagi. Hokkaido aveva dichiarato lo stato di emergenza il 28 febbraio, dopo che nella regione erano stati accertati 66 casi di Covid-19. Le autorità locali avevano chiesto la chiusura di scuole, ristoranti ed esercizi commerciali e di evitare gli assembramenti. Le prime misure avevano dato risultati incoraggianti, tanto che i nuovi casi di contagio giornalieri erano crollati, e già a metà marzo il governo locale aveva deciso di revocare le restrizioni. La prefettura aveva permesso il ritorno degli studenti a scuola a partire dall’inizio di aprile, negli stessi giorni in cui il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, dichiarava lo stato di emergenza per Tokyo, Osaka e altre cinque prefetture, preludio allo stato di emergenza a livello nazionale.
La lezione di Hokkaido, ha spiegato alla Bbc Kanji Shibuya, direttore dell’Institute for Population Health del King’s College di Londra, è che è relativamente facile controllare i singoli focolai di infezione, come avvenuto a Daegu, nel sud-est della Corea del Sud, ma il governo di Tokyo non ha agito con la stessa tempestività di quello di Seul nella fase successiva, estendendo i test per il coronavirus tra la popolazione. La paura di ingolfare gli ospedali e l’impossibilità delle autorità sanitarie locali di effettuare test di massa hanno rallentato la risposta del Giappone all’epidemia. “La lezione più grande da apprendere da Hokkaido”, ha spiegato Shibuya, “è che anche se hai successo nel contenimento la prima volta, è difficile isolare e mantenere il contenimento per un lungo periodo. A meno che non espandi la capacità di fare test, è difficile identificare la trasmissione all’interno della comunità e degli ospedali”. Il Giappone, nell’opinione del ricercatore, ha poche possibilità di evitare che la seconda ondata di contagi si protragga a lungo. Al quadro sanitario si aggiungono i danni economici: Hokkaido, largamente dipendente dall’agricoltura e dal turismo, ha visto andare in bancarotta almeno 50 aziende del settore alimentare e crollare il numero di turisti, dopo il divieto di ingresso in Giappone per chi arriva da Stati Uniti, Europa e da altri Paesi asiatici. E pensare che c’era chi diceva che il Giappone aveva sconfitto il Coronavirus grazie ad Avigan. E qualche fesso di governatore gli ha pure creduto.