Economia
Il rischio default per Autostrade
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-07-14
Il debito di Aspi che potrebbe non essere ripagato, nel caso del decreto d’urgenza da parte di Palazzo Chigi, ammonta a quasi 10 miliardi. Senza i flussi di cassa dei pedaggi autostradali a farne le spese sarebbero le principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps), istituzioni finanziarie europee (Bei), la Cdp e gli investitori che hanno comprato bond emessi dalla società
C’è un buco da 10 miliardi se Autostrade perderà la concessione. A farne le spese sarebbero le principali banche italiane, la Bei e Cdp. Ma anche i piccoli risparmiatori che hanno investito in bond della società. Giovanni Pons su Repubblica illustra oggi le strade per arrivare alla revoca, che sono sostanzialmente due: un decreto ministeriale che aprirebbe la procedura di restituzione e che finirebbe con il pagamento dell’indennizzo. Oppure un decreto del presidente del Consiglio, più difficile da giustificare visto che manca la necessità e l’urgenza a due anni dal crollo del ponte Morandi. Ma in questo caso, spiega il quotidiano, la perdita della concessione per Aspi sarebbe immediata e senza un tempo intermedio per il passaggio delle consegne.
Nel primo caso la continuità aziendale di Aspi non verrebbe messa in discussione, almeno per il periodo transitorio, nel secondo caso, invece, Aspi va in default in quanto gli vengono a mancare i flussi di cassa relativi ai pedaggi che servono a pagare personale, fornitori e debiti. È poi chiaro che, se la revoca non passerà attraverso un accordo tra le parti, partiranno i contenziosi legali legati al valore dell’indennizzo che potranno trascinarsi per molti anni.
Il debito di Aspi che potrebbe non essere ripagato, nel caso del decreto d’urgenza da parte di Palazzo Chigi, ammonta a quasi 10 miliardi. Senza i flussi di cassa dei pedaggi autostradali a farne le spese sarebbero le principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps), istituzioni finanziarie europee (Bei), la Cdp e gli investitori che hanno comprato bond emessi dalla società. Si tratta di investitori istituzionali ma anche di piccoli risparmiatori che nel tempo hanno sottoscritto un bond da 750 milioni emesso da Aspi. In questa società ci sono poi due azionisti di minoranza qualificati, come il gruppo tedesco Allianz (7%) e il fondo cinese Silk Road (5%).
Il tracollo di Aspi, inoltre, rischia di riflettersi anche sulla controllante Atlantia, che ne controlla l’88% e ne ha garantito il debito per 5,5 miliardi:
Il venir meno del suo principale asset e dunque dell’utile operativo che ne deriva provocherebbe la rottura dei covenants (rapporto tra ebtda e debito) sulle linee di credito con le banche che nel complesso ammontano ad altri 9 miliardi. Il calo del titolo in Borsa, poi, va a toccare direttamente gli azionisti al di fuori di Edizione Holding (che ha il 30,6%) che nel caso di Atlantia sono circa 40 mila azionisti tra cui il fondo sovrano di Singapore (Gic con l’8,1% del capitale), la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (4,8%) e i maggiori investitori istituzionali del mercato. Infine un default di Atlantia potrebbe ripercuotersi anche sulle altre controllate del gruppo, come le autostrade spagnole Abertis, su cui gravano altri 18 miliardi di debiti.