I centomila irregolari in più creati dal Decreto Salvini

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-01-18

Numeri e storie raccontano gli effetti nefasti delle leggi che il nuovo governo non cambia. Stop ai percorsi di integrazione e stretta sulla protezione: così migliaia di persone in strada

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I 500 mila presunti irregolari che Matteo Salvini avrebbe dovuto rimandare a casa (come primo impegno al suo insediamento al Viminale a giugno 2018) sono già diventati 600 mila e nel 2021 potrebbero sfiorare quota 650 mila. E i rimpatri si sono fermati a quota settemila (2.400 dei quali negli ultimi quattro mesi con Lamorgese al Viminale), 200 in più dell’era Salvini ma comunque sempre una goccia nel mare. Questo è l’effetto diretto e indiretto del Decreto Sicurezza o Decreto Salvini, che purtroppo non è stato ancora cancellato. Alessandra Ziniti illustra oggi su Repubblica i numeri di ISPI:

Dei 100 mila nuovi irregolari la stima è che almeno 30 mila siano effetto immediato e diretto del decreto sicurezza: persone che erano già presenti in Italia con permessi di protezione umanitaria non rinnovati, richiedenti asilo che si sono visti negare qualsiasi tipo di protezione (i dinieghi alle domande sono ormai arrivati all’80 per cento) e che si sono visti costretti a interrompere percorsi di integrazione, a rinunciare a contratti di lavoro, corsi di formazione, scuola e, in moltissimi casi a perdere anche l’accoglienza. In virtù di quelle norme (a cui adesso il Viminale pensa di trovare una correzione ipotizzando un ampliamento delle tipologie di permessi speciali) che hanno di fatto dimezzato il numero delle persone ospitate nei grandi centri ma soprattutto nelle piccole strutture diffuse nei Comuni.

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I numeri del decreto sicurezza (La Repubblica, 18 gennaio 2020)

Se al momento dell’insediamento di Salvini al Viminale i migranti in accoglienza erano 168 mila, il numero si è quasi dimezzato scendendo fino a quota 90.000. Lasciando per strada decine di migliaia di persone ma anche (si stima) almeno 15 mila operatori del terzo settore, quasi tutti giovani under 35 italiani, che hanno perso il posto di lavoro per la chiusura dei centri. Con una coda giudiziaria di cui si pagherà il costo (economico e sociale) ancora per molto tempo visto che i ricorsi dei migranti che si sono visti negare i permessi di soggiorno sono aumentati del 40 per cento intasando le sezioni speciali istituite nei tribunali che avrebbero dovuto, al massimo in quattro mesi, esitare i procedimenti. Che adesso invece hanno una durata media di due o tre anni.

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