Perché l'Italia rischia più di tutti se in Grecia finisce male

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-02-06

I conti sui prestiti ai greci: ecco chi ci rimetterebbe di più in caso di default. Intanto l’Eurogruppo si prepara a un lungo week end di trattative. Con lo spettro del Grexit

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I conti li fa La Stampa in un articolo a firma di Stefano Lepri che spiega chi ci perderebbe di più in caso di default della Grecia: l’ammontare totale dei prestiti effettuati dai paesi dell’Unione Europea nei confronti della Grecia è di 320 miliardi di euro, di cui il 17% (54 miliardi circa) in mano a privati. Un altro 10% (32 miliardi) è appannaggio del Fondo Monetario Internazionale mentre l’8% (quasi 26 miliardi) arriva dalla Banca Centrale Europea, a cui va aggiunto un ulteriore 3% (poco più di 9 miliardi) della banca centrale greca. Totale: circa 120 miliardi di euro in tutto. Quasi 200 miliardi, cioè il 62% del totale, è invece in mano ai governi dell’Eurozona, Italia compresa. In particolare, il nostro paese ha concesso alla Grecia un prestito bilaterale di 10 miliardi di euro nel 2010, quando Atene rischiava il crack. Poi ci sono i soldi del Fondo Salva Stati (Efsf) e del Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm) che hanno garantito ad Atene un sostegno complessivo di circa 140 miliardi, a cui l’Italia ha contribuito per la parte che le spetta, cioè per il 17-19% del totale, equivalente a circa 25 miliardi. E quindi, spiega La Stampa:

Per l’esattezza gli aiuti concessi alla Grecia sono pari a 623 euro per ogni cittadino italiano; il nostro Stato ha dovuto contrarre un debito aggiuntivo per quell’importo, con un onere per interessi stimabile, sempre a persona, in circa 22 euro annui (per i tedeschi, che tanto se ne lamentano, il costo è più basso: 17 euro). Secondo gli accordi attuali la Grecia dovrebbe lentamente ripagarci a partire dal 2020 fino al 2057. Se si troverà un’intesa, potrà consistere nel ritardarne ancorala restituzione. In caso di rottura invece rischieremmo di perderli tutti quanti, e per giunta di subire una nuova fase di instabilità finanziaria, più grave per l’Italia che per altri.

PERCHÉ L’ITALIA RISCHIA PIÙ DI TUTTI SE IN GRECIA FINISCE MALE
Il programma del nuovo governo greco sarà annunciato formalmente nel weekend. L’Eurogruppo è convocato subito dopo, l’11 febbraio, proprio quando scatta la stretta alla liquidità delle banche greche annunciata mercoledì dalla Banca centrale europea. La Bce, rendendo le banche greche dipendenti dalla bombola d’ossigeno dei prestiti d’emergenza (stimati in ben 60 miliardi),che autorizza ogni due settimane e può limitare, costringe Atene a trattare con i partner europei con pragmatismo. Il punto irrinunciabile, per l’Europa, sarà un nuovo programma di assistenza per Atene, a cui verrà chiesto di rimangiarsi alcuni dei punti del suo programma su risanamento dei conti (ma concedendo margini di flessibilità sul deficit 2015 e 2016) e sulle riforme che il premier greco Alexis Tsipras vorrebbe cancellare. Sul tavolo delle trattative, semplificando, due posizioni per ora non antitetiche si scontrano: la Germania non vuole un taglio del debito, ma sarebbe disponibile a dare alla Grecia più tempo. Lo swap proposto da Varoufakis, che lega i pagamenti alla crescita del Pil greco, potrebbe comportare un «haircut» implicito: è su questo sentiero stretto che si lavorerà all’accordo.

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Il debito di Atene (Corriere della Sera, 6 febbraio 2015)

Repubblica riporta intanto l’opinione di Paul Krugman sulla mossa della BCE dell’altroieri che ha portato in piazza Syntagma i greci. L’economista spiega che non rientrano nello stile di Mario Draghi ottusità e durezza, e fornisce un’analisi più cogente:

Qual è il punto, allora? Si tratta di un atteggiamento. Di un segnale. Ma lanciato a chi? E a quale scopo? Forse si tratta di uno sforzo mirante a spingere i greci a raggiungere un accordo, ma secondo me — e la mia è una semplice supposizione — tutto ciò di fatto è rivolto ai tedeschi. Da un lato, la Bce sta facendo la voce forte, così da togliere un po’ i tedeschi dal groppone dei greci. Dall’altro, si tratta di un vero e proprio segnale d’allarme: “Cara Cancelliera Merkel, ormai siamo tanto vicini a un crac delle banche e all’uscita di Atene dall’euro. Sei sicura, davvero sicura, di voler proseguire lungo questa strada? Davvero davvero?”. È un colpo d’avvertimento a tutti, affinché capiscano che cosa accadrà in seguito. Draghi sa quello che sta facendo? No, ovviamente. Nessuno, in simili circostanze sa esattamente che cosa sta facendo, perché siamo in un caos strutturale. In ogni caso, non facciamoci prendere dal panico. Non ancora.

Leggi sull’argomento: Perché la guerra della Grecia all’austerity ci riguarda. Tutti.

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