Perché la guerra della Grecia all'austerity ci riguarda

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-02-01

L’Economist spiega che la situazione di stallo in seno all’Unione Europea può essere spezzata dalla politica di Tsipras e Syriza. Che rischia il Grexit, ma è difficile pensare che la moneta unica possa sopravvivere in queste condizioni. E nel caso a perderci di più sarebbe proprio la Germania

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L’Economist ha pubblicato ieri un’analisi molto interessante sull’Eurozona e sulla Grecia. In Grecia, spiega il settimanale, è cominciata la crisi dell’euro cinque anni fa e quindi non stupisce che oggi proprio Atene possa essere il luogo in cui si può arrivare all’epilogo e alla sua definitiva definizione. In un modo o nell’altro. Dopo la vittoria di Syriza del 25 gennaio, infatti, Tsipras ha lanciato la più grande sfida ad Angela Merkel, chiedendo un robusto taglio del debito della Grecia e promettendo di ritornare a spendere soldi pubblici per salvare un paese in cui il 30% delle famiglie oggi si trovano più o meno al di sotto della soglia di povertà.
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PERCHÉ LA LOTTA DELLA GRECIA CONTRO L’AUSTERITY CI RIGUARDA
La posta in gioco è alta. Anche se tutti, compreso Tsipras, vogliono che la Grecia rimanga nell’euro, la minaccia di Grexit in questo momento è più concreta che nel 2011-2012, quando la Merkel decise di salvare dal default Atene e mantenerla nella moneta unica. All’epoca la Germania non aveva intenzione di passare per il boia del paese, anche perché i creditori del nord avrebbero subito un danno ingente alle loro finanze in caso di Grexit. Tre anni dopo le cose sono molto cambiate: una Grexit, di fronte all’opinione pubblica europea, verrebbe percepita come una piena repsonsabilità europea, adesso che l’80% del debito del paese è nelle mani di altri governi o di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale. E soprattutto, spiega l’Economist, finlandesi e olandesi la pensano come i tedeschi e non hanno alcuna intenzione di aiutare Atene, anche perché temono un effetto domino sugli altri paesi in difficoltà: Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia. Piegarsi a Syriza, ragionano nelle cancellerie, significherebbe lasciare il campo libero ai partiti come Podemos, che puntano a chiudere la stagione dell’austerità in Spagna. La partita è aperta, e gli esiti ad oggi non sono prevedibili. Può finire con la “vittoria” di Tsipras, con quella della Merkel o con un nuovo compromesso, l’ennesimo, che porterebbe all’ennesimo rinvio nella risoluzione di problemi che sono urgenti. Tsipras, dice l’Economist, ha ragione su due argomenti fondamentali, ma si sbaglia su uno. È vero che l’austerità in Europa è stata eccessiva, e che le politiche per l’Europa della  Merkel hanno portato il continente alla decrescita e alla deflazione. Ed è vero che il debito della Grecia è impagabile. Ma sbaglia, sostiene L’Economist, quando annuncia di voler abbandonare il piano di riforme intrapreso dai precedenti governi, quando dice di voler riassumere 12mila lavoratori del settore pubblico, abbandonare le privatizzazioni e aumentare il salario minimo: così si perderebbe tutto quello che la Grecia ha conquistato in termini di competitività.

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L’infografica del Sole 24 Ore sui soldi della Troika alla Grecia

UNA SOLUZIONE POSSIBILE E UN DISASTRO PROBABILE
Per questo l’Economist consiglia a Tsipras di abbandonare le sue originalità e di continuare sulla strada delle riforme in cambio di un taglio del debito o di un allungamento delle scadenze. Tsipras, consiglia l’Economist, potrebbe «sfogare le sue pulsioni di sinistra» combattendo gli oligopoli e la corruzione, mentre l’allentamento dell’austerità potrebbe essere anche un modello per altri paesi come Francia e Italia. Ma tutto questo rimane un sogno, visto che le posizioni di Atene e Berlino non sono assolutamente queste e la Merkel riesce a malapena ad accettare il Quantitative Easing, figuriamoci una ristrutturazione che coinvolgerebbe anche gli altri malati del continente. E allora non resterebbe che il Grexit, ovvero l’uscita della Grecia dall’euro. Che sarebbe sicuramente meno dolorosa del 2012, ma farebbe comunque male. In Grecia le banche salterebbero, verrebbe bloccata la circolazione dei capitali e il reddito dei lavoratori perderebbe valore, mentre la disoccupazione raggiungerebbe livelli superiori al 25%. Secondo il settimanale anche il Portogallo, la Spagna e l’Italia a quel punto potrebbero rischiare l’uscita, visto che nel frattempo l’efficacia delle nuove tutele della moneta unica, l’unione bancaria e il fondo di salvataggio non è ancora stata testata. D’altro canto, se Tsipras non ottiene la riduzione del debito con che faccia si potrebbe ripresentare davanti agli elettori greci? E se invece ottiene solo piccole migliorie rischia di trovarsi senza una soluzione ai problemi di Atene: e a quel punto anche chi in Italia e negli altri paesi del sud dell’Europa chiede l’uscita dall’euro come soluzione ai problemi riacquisterebbe ancora più voce. In più, ci sono anche altri problemi tecnici da risolvere. La BCE è fermamente convinta di non poter fornire liquidità d’emergenza alle banche della Grecia o comprare le sue obbligazioni a meno che il governo Tsipras non abbia in mano un programma concordato con i creditori, per scongiurare un’eventuale corsa agli sportelli che aumenterebbe i problemi. Allungare le scadenze può essere una soluzione intermedia, ma sarebbe troppo poco per Tsipras e troppo per la Merkel.
Il debito della Grecia (Centimetri, infografica)
Il debito della Grecia (Centimetri, infografica)

BYE BYE BERLINO?
La Grecia insomma finirà per costringere l’Europa a fare scelte difficili. E i tedeschi dovrebbero comprendere una volta per tutte le conseguenze della loro ostinazione. Cinque anni dopo l’inizio della crisi dell’eurozona i paesi meridionali rimangono bloccati in una trappola fatta di crescita zero e alti tassi di disoccupazione. L’onere totale del debito potrebbe continuare a salire nonostante l’austerità fiscale. Se la Merkel – conclude il settimanale – continuerà ad opporsi a tutti gli sforzi per far partire la crescita e bandire la deflazione nella zona euro, condannerà l’Europa a un decennio perduto ancora più debilitante di quello giapponese. E rischia di innestare un’ondata di populismo in tutta Europa. Difficile pensare che la moneta unica possa sopravvivere in queste condizioni. E nel caso a perderci di più sarebbe proprio la Germania».  La Francia vuole aiutare la Grecia a restare nell’Euro e nell’Ue e da parte sue giocherù un ruolo per aiutare Atene a trovare una soluzione con la troika (Bce-Fmi-Ue) attraverso il dialogo, ma senza prescidenre dalle riforme interne necessarie per garantire i mercati, ha detto oggi il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, al termine dell’incontro a Parigi (il primo all’estero) con il suo omologo, Yanis Varoufakis. Sapin ha aggiunto che spetta al nuovo governo greco assicurare che nei prossimi giorni i mercati siano i più calmi possibile per preparare gli strumenti necessari per definire un programma di riforme. Il titolare dell’economia di Parigi ha sostenuto di essere certo che la Grecia sarà in grado di superare le sue difficoltà attraverso il dialogo con tutte le parti interessate. Varoufakis ha detto che la Grecia resterà nell’euro. Il fondatore Bernd Lucke è stato confermato alla guida del partito euroscettico tedesco, Alternativa per la Germania (Afd), e ha ottenuto che entro dicembre vengano rimossi i suoi due vice che hanno posizioni piu’ estremiste. In Germania, invece, nel congresso di Afd a Brema che era molto atteso dopo il trionfo di Syriza in Grecia e i malumori contro l’Ue che hanno proiettato il partito nato da appena due anni al 7% nei sondaggi, Bernd Lucke si è detto ”molto riconoscente” al neo-premier ellenico, Alexis Tsipras, per aver «mostrato a quelli dell’Ue che cosi’ non si può andare avanti». Ecco perché la guerra della Grecia all’austerity ci riguarda tutti.

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