Le causali del decreto dignità e il rischio di perdere posti di lavoro

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-07-06

L’obbligo di giustificare i rinnovi dei contratti a termine con «esigenze temporanee e oggettive» e con «incrementi non programmabili dell’attività» rischia di bloccare le proroghe

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Il nodo della causale è il centro del decreto dignità. Secondo le nuove regole i contratti a termine potranno durare al massimo 24 mesi (e non più 36); il primo potrà essere senza causali, purché non superi 12 mesi; eventuali rinnovi (al massimo 4 e non più 5) dovranno essere motivati da precise causali e saranno gravati ogni volta da un contributo aggiuntivo dello 0,5% sull’imponibile previdenziale. La motivazione dietro questa scelta è evidente: evitare il proliferare di contratti a termine e rendere più difficoltoso il continuo rinnovo degli stessi. L’allarme lanciato dalle organizzazioni datoriali però è altrettanto chiaro: «633 mila contratti a tempo determinato in scadenza a fine anno rischiano di non essere rinnovati», dei quali 277mila solo nel settore del commercio. Spiega oggi il Corriere della Sera:

Le aziende, esaurito il primo contratto a termine che resta libero da causali (purché non superi i 12 mesi), potrebbero pensarci due volte prima di rinnovare il contratto, visto che le disposizioni del decreto si applicano anche ai rinnovi dei contratti in corso. Più facile che chiamino un’altra persona a fare lo stesso lavoro (soprattutto se esso non richiede particolari professionalità), evitando così costi aggiuntivi e il rischio di contenzioso sulle causali.

causale decreto dignità
Il lavoro in Italia (Corriere della Sera, 6 luglio 2018)

Per esempio, osservano gli addetti ai lavori: il decreto, fra le motivazioni per il rinnovo del contratto, contempla le esigenze non programmabili. Come la mettiamo con i saldi, che ci sono ogni anno e quindi sono programmabili?

Leggi sull’argomento: Decreto dignità, un milione di contratti a rischio rinnovo

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