Attualità
La teoria del complotto di Bruno Giosué Naso sul caso di Stefano Cucchi
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2018-10-17
Uno degli avvocati degli imputati nel processo per la morte di Stefano Cucchi ha scritto una lettera al difensore di Francesco Tedesco per “denunciare” la vera ragione «inconfessabile ma assolutamente chiara» per cui il carabiniere avrebbe improvvisamente confessato di aver assistito al pestaggio di Cucchi
Bruno Giosuè Naso è l’avvocato difensore del maresciallo comandante Roberto Mandolini, imputato per falso e calunnia assieme a Francesco Tedesco, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro nel processo sulla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009. Qualche giorno fa l’avvocato Naso – che è anche il difensore di Massimo Carminati nel processo su “Mafia Capitale” ha scritto una lettera al collega Francesco Petrelli, che difende il vice brigadiere Tedesco, il carabiniere che ha dopo nove anni di silenzio ha confessato di aver assistito al pestaggio e chiamato in causa i colleghi Di Bernardo e D’Alessandro.
Bruno Giosuè Naso e la ragione “inconfessabile ma assolutamente chiara” per la confessione di Tedesco
Nella lettera, indirizzata anche alle Camere Penali, l’avvocato Naso se la prende con Petrelli rinfacciandogli di non aver sentito «il bisogno, la necessità, la opportunità di informare i colleghi, tutti i colleghi e me in particolare!». Il tutto per cosa? Per una ragione «inconfessabile ma assolutamente chiara» che sarebbe «la promessa derubricazione dell’imputazione nei confronti del tuo cliente in favoreggiamento, reato già prescritto, anche a costo di aggravare la posizione di tutti gli altri imputati». Secondo il legale di Mandolini ci sarebbe quindi stato una sorta di patto occulto tra Petrelli e i PM. «Stiamo celebrando il dibattimento e in un processo di tale delicatezza, in un processo condizionato come pochi altri da fattori stravaganti ed extraprocessuali – scrive nella lettera – e tu che fai? Accompagni il tuo assistito nell’ufficio del pm perché questi conduca un’indagine parallela e riservata rispetto a quella in corso con innegabili, inevitabili se non addirittura perseguiti effetti di condizionamento su quello che sarà il di lui contributo dibattimentale?». Nel 2009 Mandolini era comandante della Stazione dove fu portato Cucchi dopo l’arresto.
Dalla lettera di Naso traspare una certa delusione nei confronti di “Francesco” che lascia intendere che tra i due legali ci fosse un profondo rapporto di stima che però è stato bruscamente interrotto (almeno secondo il legale di Mandolini) dalla decisione di Tedesco di confessare. Al di là dello sfogo, che può anche essere comprensibile, c’è però da capire se Naso pensa davvero quello che dice o se si tratta di una strategia processuale. Del resto Naso è noto per essere uno che non le manda a dire. Al processo Cucchi ad esempio ha accusato di «metodi stalinisti» il pm Giovanni Musarò mentre al processo su Mafia Capitale aveva contestato la pressione mediatica sulla vicenda riguardo l’applicazione del reato di associazione mafiosa al suo assistito. Carminati ha ricevuto in secondo grado una condanna per mafia con detenzione al 41bis. Lasciando da parte per un momento l’ipotesi del complotto non si può non pensare che il difensore del maresciallo Mandolini stia cercando di minare la credibilità di Tedesco mettendo in dubbio il valore di quella confessione che è indiscutibilmente stata tardiva.Francesco Petrelli: accuse gravissime e infondate
Lo stile di difesa di Naso è diventato famoso gli attacchi nei confronti del cronista dell’Espresso Lirio Abbate (che Naso ogni tanto storpia in Delirio Abbate) e anche riguardo l’inchiesta su Mafia Capitale ebbe a dire che aveva un «taglio stalinista» e che le cronache sul processo avevano manipolato l’opinione pubblica «abilmente e strumentalmente orientata grazie all’opera di disinformazione che ha accompagnato le cronache di questo processo». Questa volta invece Naso attacca l’avvocato difensore di un altro imputato. Una contestazione che stando a quanto riporta il Corriere della Sera viene considerata assurda anche da molti avvocati al Palazzo di Giustizia.
Petrelli ha replicato dicendo che «il carabiniere Tedesco ha fatto una scelta difficile e coraggiosa e non vi è nulla di “inconfessabile” nei motivi che lo hanno indotto a denunciare i fatti e le responsabilità altrui, né nei modi in cui tale contributo di verità è stato fornito all’autorità giudiziaria» aggiungendo che le accuse rivoltegli dal collega «sono assurde, gravissime ed infondate. È semplicemente impensabile che un avvocato, per colleganza o, peggio ancora, per amicizia, possa violare il segreto istruttorio ed il riserbo assoluto di una indagine. Ed è altrettanto inaccettabile che si voglia sovrapporre indebitamente la figura del difensore a quella dell’assistito e si confondano i rapporti personali e professionali fra colleghi con le scelte processuali degli imputati». Nel frattempo un altro dei legali di Tedesco Eugenio Pini ha depositato in Procura una querela per minacce di morte, dopo una telefonata ricevuta nelle ultime ore. Nella chiamata, che potrebbe essere stata registrata, una voce dall’accento siciliano e non camuffata ha detto all’avvocato: «Lei sa chi mi ricorda? Rosario Livatino», un chiaro riferimento al giudice ucciso dalla mafia e aggiungendo in seguito: «la seguirò, non solo spiritualmente». Sulla vicenda processuale è intervenuto anche oggi il comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri, che in un’intervista a Porta a porta ha lanciato un appello per far luce sulla morte di Stefano Cucchi: «Chi sa parli». «L’Arma andrà fino in fondo per la parte di competenza» ha aggiunto Nistri ribadendo «che un carabiniere ha il dovere morale, prima ancora di giuridico, di dire la verità e di dirla subito».