Benetton: i Signori delle autostrade

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-08-17

Ovvero la storia di come una famiglia di industriali veneti del tessile è diventata, dopo aver delocalizzato la produzione all’estero e chiuso stabilimenti in Italia, la padrona delle autostrade italiane grazie anche ai regali fatti dallo Stato ai concessionari autostradali

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In provincia di Treviso la presenza della famiglia Benetton è costante e tangibile. Non tanto in virtù dell’esercizio di un potere politico o dinastico quanto nella geografia dei luoghi. Le ville in città, il negozio sulla piazzetta ristrutturata da Tadao Andō, la Fondazione Benetton Studi Ricerche, poi a Ponzano Veneto nelle ville venete dove hanno sede l’azienda e Fabrica, il centro di comunicazione del gruppo. La produzione ormai non è più nel trevigiano (e molto poco in Italia), anche se nel 2016 l’azienda ha annunciato l’assunzione di una nuova linea completamente “made in Treviso”.

Benetton e Atlantia: i padroni delle autostrade italiane

Con la delocalizzazione della produzione tessile all’estero, a “casa” dei Benetton sono rimasti i segni concreti della loro ricchezza. Ma la famiglia Benetton, la cui attività è iniziata nel lontano 1965, non ha abbandonato l’Italia. Certo ne è passato del tempo da quando Luciano, il più anziano dei quatto fratelli, caricava la macchina con i colorati maglioni che divennero il simbolo del marchio di abbigliamento per portarli nei negozi del Veneto. L’azienda è ormai una multinazionale e la vendita dei capi d’abbigliamento non è più la principale attività della famiglia, che nel frattempo ha ampliato i propri interessi e costruito un’immensa rete di partecipazioni.

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A dirigere l’impero c’è Gilberto Benetton, presidente di Edizione Srl, la finanziaria di famiglia che oltre ad essere proprietaria del marchio tessile detiene il 100% di Schema34, la holding che controlla la rete di ristorazione Autogrill e il 100% di Sintonia Srl, holding che controlla il 30,25% di Atlantia, società che a sua volta detiene l’88.06% di Autostrade per l’Italia, la concessionaria autostradale che ha in gestione (tra le altre cose) l’autostrada A10 e quindi il viadotto sul Polcevera crollato il 14 agosto. Atlantia controlla anche il 99,38% di Aeroporti di Roma e una serie di concessioni autostradali all’estero (in Brasile, Cile, Polonia e India). Atlantia possiede anche il 100% di Telepass, lo strumento utilizzato per il pagamento automatico dei pedaggi autostradali. Nella pancia di Edizione c’è anche Maccarese Spa, una società ex statale (fu privatizzata dall’IRI nel 1998) che  controlla la Compañíade Tierras Sud Argentino S.A, un’azienda agricola che possiede circa 900 mila ettari di terreni in Argentina.

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Autostrade per l’Italia gestisce 2.855 km di rete autostradale e ha 5.498 dipendenti. Il gruppo però gestisce anche la Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco, e poco meno di 200 km di tratte autostradali ripartite tra il Raccordo Autostradale Valle d’Aosta, la Società Autostrada Tirrenica, Autostrade meridionali e la Tangenziale di Napoli. Di fatto Atlantia controlla quasi la maggioranza dei circa seimila chilometri di autostrade italiane. Autostrade che, è bene ricordarlo, sono state costruite grazie ad investimenti pubblici (ovvero soldi dei cittadini). I pedaggi dovevano teoricamente servire a coprire i costi operativi e l’ammortamento dei debiti con i quali veniva finanziato l’investimento. Ma è evidente che dopo vent’anni il costo è stato ampiamente azzerato. Gli utenti continuano a pagare, e mentre le autostrade non vedono grandi migliorie (si preferisce costruirne di nuove, da dare in concessione) restano invece i profitti. La proroga della concessione, senza gara, poi costituisce un altro enorme regalo che lo Stato (segnatamente i governi) hanno fatto ai concessionari.

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Nel 2017 il gruppo ha incassato 3,5 miliardi di euro dalla riscossione dei pedaggi autostradali (+3% rispetto al 2016) con un margine lordo pari a 2,4 miliardi di euro. In poche parole povere i guadagni dei Benetton (e degli altri azionisti di Atlantia) dalle concessioni autostradali vanno a gonfie vele.

Quanto hanno guadagnato i Benetton dalle Autostrade?

Ma come è successo che una famiglia di industriali tessili sia diventata la più importante concessionaria della rete autostradale italiana? Bisogna tornare indietro nel tempo alla fine degli anni Novanta quando lo Stato decise di privatizzare le autostrade. Fino ad allora la Società Autostrade (si chiamava così) era di proprietà dell’IRI. Era un periodo quello di duri scontri istituzionali che videro protagonisti, su fronti opposti l’allora ministro dell’Industria del governo Ciampi Paolo Savona e il presidente dell’IRI Romano Prodi. Quando si iniziò a parlare di privatizzazioni (Credito Italiano e Banca Commerciale in primis) Prodi era dell’idea di mette un limite molto basso al possesso azionario di un singolo investitore. Savona invece era dell’idea opposta.

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Gilberto Benetton

Nel 1999 la società venne venduta a Società Schemaventotto, una holding guidata da Gilberto Benetton che fu l’unica a presentare un’offerta di acquisto vincolante per il 30% di Società Autostrade. Da allora la concessione rimase saldamente nelle mani di Atlantia, Edizione e quindi della famiglia Benetton. E si può parlare di una vera e propria gallina dalle uova d’oro. Già sei anni dopo il subentro Schemaventottto – scriveva qualche anno fa Giorgio Ragazzi nel libro I signori delle autostrade – aveva moltiplicato per sei/sette volte il valore del suo investimento. Srive Ragazzi che «Schemaventotto , tramite l’Opa e il “progetto mediterraneo” ha accresciuto la propria quota di Autostrade spa dal 30 al 63 per cento, addossando alla concessionaria (e quindi agli utenti che pagano i pedaggi) l’onere del rimborso del debito contratto per finanziare l’Opa. Schemaventotto ha poi mantenuto il 51 per cento e ha rivenduto il 12 per cento rientrando così in buona parte dei soldi versati all’Iri per il 30 per cento acquistato al momento della privatizzazione».

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Fonte: Il Sole 24 Ore del 17/08/2017

E in sedici anni (2001-2017) Autostrade per l’Italia ha incassato 43 miliardi di euro dai pedaggi autostradali investendone 5 in interventi di manutenzione e 13,6 per la realizzazione di ampliamenti, migliorie e nuove opere sulla rete in concessione. Come abbiamo spiegato ieri non è però possibile sapere se gli investimenti fatti fossero quelli previsti dagli Atti Convenzionali, dal momento che sono secretati. Dal bilancio di Autostrade emerge una diminuzione degli investimenti operativi sulle infrastrutture in concessione che sono passati dai 232 milioni del primo semestre 2017 ai 197 del primo semestre 2018. Scrive Laura Serafini sul Sole 24 Ore di oggi che «i profitti veri e propri di cui la società ha beneficiato in questi 16 anni sono pari a 2,1 miliardi: in sostanza 130 milioni di euro l’anno, di cui buona parte distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi. Al socio di riferimento, la famiglia Benetton, è andato in media il 30% dei dividendi». In sostanza ai Benetton in questi anni grazie alle concessioni autostradali sono andati circa (e si tratta di una cifra da prendere con le pinze) 600 milioni di euro.

Leggi sull’argomento: Il vero problema delle autostrade italiane (che il governo dovrebbe risolvere invece di fare propaganda)

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