I sette miliardi l’anno che costano le baby pensioni

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-07-26

Quando si parla di pensionati baby, si pensa soprattutto ai dipendenti pubblici che, a partire dal 1973 fino ai primi anni novanta, hanno avuto la possibilità di andare in pensione con requisiti estremamente generosi: alle donne con figli, ad esempio, bastavano 14 anni, 6 mesi e un giorno di lavoro; in genere per gli statali erano sufficienti 19 anni e mezzo

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Le pensioni baby costano alle casse dello Stato circa 7 miliardi di euro l’anno (0,4% Pil nazionale).Lo rileva la Cgia Mestre. Si tratta quasi dello stesso importo previsto quest’anno per il reddito/- pensione di cittadinanza; oltre 2 miliardi in più della spesa 2020 per pagare le pensioni di Quota 100. L’ufficio studi della Cgia Mestre è arrivato a queste conclusioni confrontando i dati Inps dei pensionati baby con la dimensione economica del reddito di cittadinanza e di quota 100,misure entrambi nel mirino dell’Ue. «Il termine baby pensionati è ovviamente informale, non ha alcun fondamento legislativo e abbiamo deciso di racchiudere in questa categoria coloro che hanno lasciato il lavoro prima della fine del 1980. Sono quasi 562mila – rileva Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi – le persone che non timbrano più il cartellino da almeno 40 anni. Di queste, oltre 386 mila sono in massima parte invalidi o ex dipendenti delle grandi aziende. Poi ci sono altri 104mila ex lavoratori autonomi, oltre la metà proveniente dall’agricoltura, e solo una piccola parte, meno di 60 mila, il 10,6%, di ex dipendenti pubblici».

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In realtà quando si parla di pensionati baby, si pensa soprattutto ai dipendenti pubblici che, a partire dal 1973 fino ai primi anni novanta, hanno avuto la possibilità di andare in pensione con requisiti estremamente generosi: alle donne con figli, ad esempio, bastavano 14 anni, 6 mesi e un giorno di lavoro; in genere per gli statali erano sufficienti 19 anni e mezzo. E così – fa notare Cgia – la media dei pensionati baby provenienti dalla Pa è andata in quescenza a 41,9 anni, mentre nella gestione privata l’età media è scattata dopo (42,7 anni). In entrambi i casi, comunque, l’abbandono definitivo del posto di lavoro è avvenuto praticamente con 20 anni di età in meno rispetto a chi, oggi, usufruisce di quota 100.

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