Economia
La passione di Di Maio per le arance in Cina
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2019-03-23
Giggetto annuncia per la seconda volta che le arance italiane potranno arrivare in Cina con l’aereo. Dimentica chi ha fatto l’accordo (strano!) e quale tipo di effetto economico avrà (stranissimo!)
Ieri Luigi Di Maio ha dato a tutti su Facebook una notizia bellissima: le arance italiane potranno arrivare in aereo fino in Cina. Una notizia talmente epocale che era già stata data altre volte. Dallo stesso Di Maio. Che però, come spesso gli succede, non ci ha capito molto.
Luigi Di Maio e le arance in Cina
Il 6 novembre 2018 infatti Luigi Di Maio sulla sua pagina Facebook scriveva la stessa cosa, ovvero che “da oggi le nostre produzioni agricole potranno volare in Cina in aereo: una grande novità per le imprese non solo siciliane ma di tutto il paese”, mentre in copertina campeggiava una sua foto in compagnia di Giancarlo Cancelleri e si annunciavano buone notizie per gli agricoltori siciliani.
Ovviamente è bello che Di Maio dia buone notizie, e pazienza se le aveva già date quattro mesi fa: questo significa che siccome di buone notizie sull’azione del governo ce ne sono poche, il cuoco cucina con gli ingredienti che ha. Ma c’è anche da sottolineare altro. Ovvero che il primo via libera all’export degli agrumi siciliani era stato dato nel febbraio del 2017 dopo la chiusura del protocollo fitosanitario con Pechino che aveva aperto il mercato cinese alle arance siciliane. Rimaneva però la limitazione relativa al fatto che i prodotti potessero essere esportati solo per via marittima. È questo il successo di Di Maio? No. Perché a gennaio del 2018 la Regione Siciliana aveva concluso l’iter per l’apertura del canale di commercializzazione degli agrumi siciliani in Cina che aveva aperto alla possibilità di esportare le arance anche per via aerea. Proprio quello che ha annunciato Di Maio a novembre. Volendo essere ancora più specifici, si dovrebbe sottolineare che è stato Maurizio Martina, da ministro dell’Agricoltura del governo Gentiloni, a firmare gli accordi con Pechino perché tutto questo fosse possibile.
Mission Impossible: rilanciare l’economia vendendo arance ai cinesi
Ma questi sono dettagli, anche se non è certo la prima volta che il governo a 5 Stelle si appropria di decisioni avvenute prima del suo insediamento o presenta come clamorose vittorie leggi varata dai famigerati governi precedenti. Era successo quando Di Maio aveva annunciato di aver “confermato” l’Opzione Donna per il pensionamento anticipato sostenendo di essere riuscito a mantenere l’ennesima promessa e denunciando l’immobilismo del governo precedente. Peccato che quel provvedimento fosse stato introdotto proprio da un governo precedente. Ma c’è di più, secondo il ministro dello Sviluppo Economico in Cina c’è una grande richiesta del nostro made in Italy, il che è senz’altro vero, e grazie a questo accordo le imprese «avranno un modo in più per portare all’estero questo genere di prelibatezze».
Il problema è che non stiamo parlando di prodotti che all’estero sono visti come un’eccellenza tipica italiana ad alto valore aggiunto e che quindi giustificano un ricarico notevole (come ad esempio può essere il caso di una bottiglia di Brunello di Montalcino o di Prosecco). Stiamo parlando di arance e agrumi, prodotti che a causa del prezzo molto basso (parliamo mediamente di 40 centesimi al chilo pagati all’ingrosso) a volte gli agricoltori preferiscono lasciare sugli alberi perché non c’è margine di guadagno. È evidente che spedirle via aereo, con tutti i costi che comporta anche a livello logistico non è poi così conveniente. Anche perché vanno aggiunte anche le tasse doganali. Una volta arrivate sul mercato cinese poi le arance siciliane e italiane dovranno fare i conti con la concorrenza cinese. Eh sì, perché la Cina oltre ad essere il paese di provenienza dell’arancia – il cui nome scientifico è infatti Citrus sinensis – è diventata anche uno dei principali produttori di arance, addirittura della varietà siciliana Tarocco. Certo, magari ci sarà qualche ricco cinese disposto a comprare arance italiane, della stessa varietà coltivata in Cina, a 15 euro al chilo, ma difficile che grazie a questa operazione si possa rilanciare la produzione agroalimentare italiana. A meno di non rendere la produzione di agrumi nostrani molto più conveniente di quelli locali, il che significa abbassare i costi di produzione, ovvero dare meno soldi a chi le arance siciliane le coltiva o le raccoglie. Il tutto mentre nei supermercati italiani si trovano più spesso prodotti provenienti dalla Spagna o dal Marocco. Una geniale idea di sviluppo economico.
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