Economia
Virginia Raggi e i soldi buttati per Roma
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2017-10-15
Carlo Calenda da Lucia Annunziata: “La sindaca non venga con la lista della spesa, non è quello il senso del tavolo perché poi i soldi vengono anche buttati”. La richiesta della prima cittadina: 1,8 miliardi da destinare agli investimenti. Ma il rischio è che si perda solo tempo
“Leggo sui giornali che vogliono venire con la lista della spesa. Se vengono a chiedere la lista della spesa, è meglio che non vengano. Non è quello il senso del tavolo, perché poi normalmente i soldi vengono anche buttati“. Lo ha detto Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, parlando a “Mezz’ora in più” su Raitre del tavolo su Roma. Ad Alessandro Di Battista, secondo cui l’intento del tavolo al Mise sia quello di commissariare la città, Calenda ha risposto: “che mi importa a me di commissariare Roma, me l’ha chiesto il sindacato”. Quello convocato, “non è un tavolo per colpevolizzare la Raggi, i problemi vengono da prima, spesso non sono nemmeno politici ma del tessuto sociale”, ha spiegato.
Virginia Raggi e i soldi buttati per Roma
Calenda si riferisce a una lista della spesa che è circolata in questi giorni sui giornali ed è stata riassunta dall’AGI: il bilancio di Palazzo Senatorio si aggira attorno ai 5 miliardi di euro annui: 3,2 miliardi se ne vanno per pagare i servizi erogati dal Comune e dalle sue 26 partecipate – dagli asili ai trasporti, passando per rifiuti e case popolari – mentre un altro miliardo viene usato per le busta paga dei 23mila dipendenti capitolini. Considerando 200 milioni l’anno destinati alla gestione commissariale del debito storico ed un tasso di evasione delle tasse comunali attorno al 10%, per gli investimenti resta ben poco. Finisce che di fatto il Campidoglio spende solo per l’ordinaria amministrazione.
Pesano anche gli insuccessi degli interventi urbanistici piu’ recenti. I fondi stanziati da Comune e dal governo centrale per il Giubileo straordinario della Misericordia sono arrivati a singhiozzo, tanto che ancora un anno dopo la fine dell’evento (novembre 2016) il Campidoglio è alle prese con le gare di appalto di alcune opere che dovevano essere pronte prima dell’inizio dell’Anno Santo. Mentre le ultime grandi infrastrutture realizzate – la nuova Fiera, la stazione Tiburtina e il centro congressi la Nuvola – sono costate in totale oltre 700 milioni di euro ma non hanno prodotto i risultati attesi sull’economia cittadina. La Raggi chiede al governo più poteri e fondi (1,8 miliardi di euro stimati con l’agenda per la citta’), tramite una piena attuazione della legge su Roma Capitale, un progetto che la sindaca ha ribattezzato “Fabbrica Roma”.
Le intenzioni di Calenda e i desideri della Raggi
Il ministro ha ribadito di non aver alcuna intenzione di commissariare la città ma di essersi reso disponibile dopo un invito del sindacato. “Per essere preciso – ha aggiunto – me lo ha chiesto Susanna Camusso”. A proposito del fatto che il tavolo possa essere strumentalizzato in clima elettorale, Calenda ha osservato: “Ho fatto un lavoro perché capita adesso, non è dettato dall’agenda della politica. Per fortuna l’agenda di governo è molto intensa. E a me, non presentandomi alle elezioni, non me ne importa proprio niente. Faccio il mio lavoro e basta“, ha sbottato Calenda, confermando la sua intenzione di non volersi ricandidare alle prossime elezioni. E ha aggiunto: “I problemi” oggetto dell’attenzione del tavolo “non derivano dalla Raggi” ma dipendono da molti. “Non sono neanche colpa della politica, affondano nel tessuto sociale… Ripeto: non è un tavolo per colpevolizzare Raggi ma per mettere insieme idee sul futuro di Roma”.
Calenda ha posto la ripresa di Roma come questione nazionale e nei giorni scorsi ha replicato “Continuo a ricevere lettere sconclusionate sui più vari argomenti”. Una disputa su cui pesa un’ulteriore incognita, legata ai tempi di lavoro del tavolo. La legislatura termina all’inizio del prossimo anno, e senza un accordo immediato tra le parti difficilmente il tavolo potrà arrivare a conclusioni concrete, che si tratti di uno stanziamento di risorse ad hoc o di agevolazioni fiscali per le imprese che decidono di investire nella Capitale. Il rischio, insomma, è che alla polemica verbale possa seguire un nulla di fatto.