Economia
Truffa dell'olio d'oliva, un controllo chimico ci salverà?
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2015-11-12
Il presidente degli industriali: «Rispettiamo la magistratura ma servono controlli chimici ma non bastano gli assaggi». Nel mirino il Panel Test sull’extravergine. Intanto la procura indaga sulla violazione della legge del 1962 sugli alimenti
Il giorno dopo l’olio extravergine d’oliva passa al contrattacco. Dopo la notizia delle sette aziende il cui olio extravergine è stato dichiarato non conforme (coinvolti i marchi Carapelli, Santa Sabina, Bertolli gentile, Coricelli, Sasso, Primadonna – confezionato per la Lidl – e Antica Badia – per Eurospin) Giovanni Zucchi, presidente di Assitol, l’associazione degli industriali, spiega alla Stampa: «Siamo abituati a rispettare il lavoro della magistratura» ma è «opportuno puntualizzare alcuni elementi sui quali non sembra ci sia la dovuta chiarezza». Di cosa sta parlando?
Truffa dell’olio d’oliva, le aziende chiedono i controlli chimici
Il problema sottolineato dal presidente di Assitol risiede nell’indagine effettuata dalla rivista Test, contestata all’epoca della pubblicazione dell’articolo anche dalla Carapelli:
«Vogliamo garantire la massima trasparenza ma chiediamo anche certezza del diritto. L’olio di oliva extravergine è l’unico prodotto al mondo per il quale sia previsto un panel test di assaggio con valore legale, ma la delicatezza della materia impone prove d’appello prima di formulare giudizi. Sono necessari i makers chimici, cioè una verifica strumentale come controprova dell’assaggio».
Ma il panel test è uno strumento per difendere il Made in Italy e i consumatori. Lo contestate?
«A questo metodo va riconosciuto il merito storico di aver spinto tutto il settore verso una più attenta ricerca della qualità e di un gusto migliore. L’analisi organolettica ha rappresentato uno strumento importante nella lotta alle frodi. Tuttavia, dopo anni di applicazione, da più parti ci si è cominciati a interrogare sulla validità del panel test».
Perché correggere uno strumento che funziona?
«Sono troppi i casi in cui i giudizi di due diversi panel risultano agli antipodi. Basta che un gruppo di esperti definisca “non extravergine” un olio, che magari ha soltanto un piccolo difetto di conservazione, per scatenare il putiferio, sui giornali e nell’intero comparto. Il che, in un mercato che ha incoronato l’extra come unico condimento possibile, destinando gli altri oli da olive all’emarginazione, equivale alla scomunica».
Ovvero, il panel test sull’olio d’oliva che serve a giudicare se è o meno extravergine. I campioni sono stati sottoposti tanto all’esame organolettico del panel test (colore, dimensione, forma, sapore, odore e tessitura), quanto all’esame chimico (composti e acidità) per verificare il rispetto dei parametri normativi. Sette oli su 20 sono stati bocciati all’esame organolettico, in quanto non conformi ai parametri richiesti e, considerato che per legge un extravergine non può presentare attribuzioni negative, sono stati declassati a semplici vergini. Le verifiche del laboratorio delle Dogane risalgono allo scorso mese di maggio, così come la segnalazione di Il Test alla procura di Torino. La Carapelli, in una lettera a Repubblica poi pubblicata da Il Fatto Alimentare, aveva spiegato cosa non convinceva dei risultati:
Analisi e controanalisi
La Carapelli aveva anche affermato di aver effettuato dei controtest sia interni che esterni, i quali avevano dato esito positivo sulla qualifica di extravergine. Ecco quindi la tesi difensiva delle aziende: un test “soggettivo” – come quello degli assaggiatori – non sarebbe così indicato come un’analisi chimica. Il che può anche essere vero, ma rimane che, per le aziende, accettare o non contestare prima un test veridittivo, e farlo soltanto quando il risultato è negativo, è un comportamento quantomeno curioso.
Nel frattempo altri reati si profilano nell’inchiesta della procura di Torino sull’olio di oliva extravergine che extravergine non è. Tutto dipende dall’esito degli accertamenti che i carabinieri del Nas, su invito dei magistrati subalpini, stanno svolgendo sulle modalità di produzione dell'”oro verde”. Potrebbero emergere violazioni della legge del 1962 sugli alimenti, del codice del consumatore del 2005, della disciplina che tutela i marchi made in Italy, o casi di certificazioni compiacenti, o altre ipotesi addirittura più gravi. Delle sette aziende finite nel mirino del pm Raffaele Guariniello, ieri è intervenuta la Coricelli, da Spoleto. “I nostri prodotti rispettano i più elevati standard di qualità”, assicura, per poi criticare i test (comprensivi di vere e proprie prove di assaggio dell’olio da parte di esperti del settore) che hanno portato all’apertura dell’indagine: “Anche se sono svolti da professionisti, ormai sono considerati insufficienti. Il metodo è soggettivo, non ripetibile, non riproducibile”. In ogni caso, “prima di essere messo in commercio il lotto in contestazione è stato oggetto di accurate analisi sia da parte dell’azienda che di laboratori esterni accreditati”. Assitol, l’associazione che riunisce i produttori oleari, raccomanda prudenza: “Basta un poco di luce o un eccesso di calore perché gli assaggiatori colgano nell’extra un difetto minimo, ma tale da classificarlo come semplicemente vergine”. Il presidente di Copagri, Franco Verrascina, lamenta il fatto che “le colpe di alcuni gettano sospetti indistinti su tutti i produttori con l’aggravante che i più piccoli non hanno i mezzi per condurre campagne informative a loro tutela”, mentre Confragricoltura e Assofrantoi denunciano “il danno economico per chi lavora onestamente”. E Coldiretti ha una raccomandazione per i consumatori: se volete acquistare un buon extravergine italiano, di fronte a prezzi da 6 o 7 euro fate attenzione e preferite quello più recente, guardando l’anno di produzione.