Economia
Toh, la fiducia nelle banche è in calo
Alessandro D'Amato 22/12/2015
Chissà perché, eh?
Ilvo Diamanti su Repubblica di oggi cita un sondaggio dell’istituto Demos che spiega che la fiducia nelle banche è in calo: dal 2000, primo anno di misurazione e anche annata con il picco più alto (30%) la percentuale di coloro che ha moltissima o molta fiducia negli istituti di credito in Italia è in calo, e ha raggiunto il 16% nell’ultima misurazione. Dal grafico si evince un crollo netto tra 2000 e 2003, una lieve ripresa un paio d’anni dopo seguita da nuove cadute e un picco di sfiducia nel 2013 da cui è cominciata una lenta risalita che arriva al punto di oggi.
Impossibile non notare che il picco del crollo coincide con lo scatenarsi degli effetti della crisi del 2008, così come è facile immaginare che nel crollo dei primi anni duemila non saranno state estranee le vicende che hanno coinvolto i tanti obbligazionisti italiani rimasti scottati con i casi Argentina, Parmalat, Cirio. Ma quello che si nota di più non è questo. Quello che si nota è che quanto tristemente accaduto all’epoca si è verificato di nuovo oggi: prodotti finanziari venduti in palese conflitto d’interesse – persino con acquisti sul mercato secondario e rivendite a clienti – e con l’obiettivo di scaricare sul retail la necessità di rifinanziare gli istituti di credito. Insieme al credito allegro di cui (non) parlava Visco ieri: è vero che le crisi di cui stiamo parlando in questi giorni si sono manifestate anche a causa ll’impossibilità di rimborsare crediti da parte delle imprese (e per questo Visco dice, diplomaticamente, che è stata l’economia a rendere fragile il sistema bancario). Quello che Visco non dice è che le banche sono finite nei guai anche grazie ai crediti concessi allegramente ad aziende decotte e/o con amici nel consiglio di amministrazione delle banche risolte. Questo lo afferma proprio Bankitalia nella lettera di contestazione al CdA di Banca Etruria che ha portato a sanzioni per 2,34 milioni di euro di cui 144mila in carico a Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena Boschi. Nella lettera si segnalavano:
“Violazione delle disposizioni sulla governance”, “carenze nell’ organizzazione e nei controlli interni”, “carenze nella gestione e nel controllo del credito”, “carenze nei controlli”, “violazioni in materia di trasparenza”, “omesse e inesatte segnalazioni agli organi di vigilanza”.
Ora, Visco ha ragione nel dire che le nostre banche non parlano inglese, tanto per usare una formula trita e ritrita di questi anni per spiegare come mai non si sono buttate sui titoli tossici. Allo stesso tempo ci si aspetterebbe che le banche non finanziassero i clienti tossici, visto che molto spesso hanno a disposizione informazioni su informazioni che fotografano perfettamente le condizioni dei creditori. Il fatto che nelle sue realtà di provincia (e non solo) il sistema bancario italiano tenda a finanziare gli amici, e a farlo anche quando sono in pericolo di fallimento e anche nel momento in cui il finanziamento potrebbe mettere in pericolo la solidità della banca, è indubbio. Ancora una volta, Bankitalia ha poteri sanzionatori ma anche di moral suasion. Ancora una volta, il problema è che il sistema del credito italiano è refrattario a fare quello che andrebbe fatto. Più che elogiarlo perché non ha investito in titoli tossici, un’autorità dovrebbe ricordare la pura e semplice verità.