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Simona Mangiante: la moglie di Papadopoulos e la scomparsa di Joseph Mifsud
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2019-10-05
L’ex avvocata spiega gli intrecci che hanno portato in Italia il Russiagate a partire dalla figura di Joseph Mifsud, il professore della Link Campus University, l’ateneo privato dove si è formato un pezzo della classe dirigente dei 5 Stelle. E sostiene che si tratti di un complotto per fregare Trump
Simona Mangiante, moglie di George Papadopoulos, ex assistente del presidente americano, avvocata casertana di 34 anni, per sette anni e fino al 2016 assistente legale nella Commissione giuridica (Juri) all’Europarlamento, spiega oggi a Repubblica gli intrecci che hanno portato in Italia il Russiagate a partire dalla figura di Joseph Mifsud, il professore della Link Campus University, l’ateneo privato dove si è formato un pezzo della classe dirigente dei 5 Stelle (tra cui l’ex ministra della Difesa Trenta e l’attuale vice-ministra agli Esteri Del Re). Il governo americano lo cerca da quando è scomparso nel maggio del 2018, ed è tornato a chiederne conto all’Italia nei giorni scorsi.
Simona Mangiante: la moglie di Papadopoulos e la scomparsa di Joseph Mifsud
Simona Mangiante oggi vive a Los Angeles col marito. Ha dismesso la toga, fa la modella e l’attrice, ha una propria linea di costumi. Un produttore americano sta girando un reality su di lei e su Papadopoulos, che nel frattempo ha scritto un libro (“Deep State target”) in cui si descrive vittima di un complotto internazionale. La ricostruzione della moglie di Papadopoulos è completamente diversa da quella dell’FBI:
Come ha conosciuto Mifsud?
«Me lo ha presentato nel 2011 il deputato europeo Gianni Pittella, che è un amico di famiglia. Eravamo a un evento della fondazione Euromed. Pittella mi disse che Mifsud era molto vicino al suo gruppo, i Socialisti & Democratici, ed era un’attivista»Tanto da partecipare alle campagne elettorali?
«Sì. Nel novembre 2016 Pittella era a Filadefia per sostenere la Clinton, e Mifsud era con lui. Mifsud è un donatore della Fondazione Clinton. Non era affatto filo-Putin».
Quando ha lavorato per lui?
«Nel settembre del 2016. Terminato il contratto con l’Europarlamento, Pittella mi suggerì di rivolgermi a Mifsud, che era appena diventato direttore del London Center of international law practice. Mi prese col ruolo di direttrice delle relazioni diplomatiche, in realtà era interessato a dossier confidenziali di cui mi ero occupata a Bruxelles, e che mai gli ho rivelato».
Mangiante conferma il legame di Misfud con Renzi, che ha portato ieri l’ex presidente del Consiglio ad annunciare una querela nei confronti del marito:
«Il vero mestiere del Professore era questo: cercare agganci, trovare connessioni con i governi. Era molto legato a quello di Renzi».
Ha elementi concreti per dirlo?
«Lui ripeteva spesso di esserlo, anche se non so se conosceva Renzi. Mifsud viveva tra Roma e Londra, era in contatto con Vincenzo Scotti e Pasquale Russo (presidente e direttore generale della Link University, ndr) e con alcuni esponenti dei 5 Stelle. Dopo lo scoppio del Russiagate ha soggiornato per settimane in un alloggio a Roma pagato dalla Link nonostante pubblicamente Scotti prendesse le distanze da lui. Ora è sparito. Per me ci sono pochi dubbi: era una spia della Cia, appoggiato dai servizi italiani».
Joseph Misfud e Georges Papadopoulos
Il racconto di Mangiante si trasforma in spy story quando lei afferma che il Russiagate vada letto al contrario: «un complotto di Cia e governi social-democratici per impedire l’elezione di Trump». Quando Fabio Tonacci le dice che in molti sono convinti che lei sia una spia russa, risponde: «Solo perché sono bionda, alta e non parlo l’inglese con l’accento italiano. L’Fbi, il Dipartimento immigrazione e il Congresso americano non hanno trovato niente al riguardo». Ha delle prove su quello che lei chiama complotto? «Mio marito venne agganciato da Mifsud a Roma, introdotto da Scotti. Non fu mio marito a cercare Mifsud. E in un’occasione sono stata testimone oculare di un secondo tentativo di incastrarlo». Ovvero una trappola in cui lo ha infilato un certo Charles Towell, che gli ha consegnato una valigetta con diecimila dollari che lui lasciò a Salonicco: appena atterrato a Washington fu arrestato dall’FBI che subito gli chiese dei soldi.
Intanto mercoledì prossimo, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica avrà un nuovo presidente e scatterà il conto alla rovescia per un’audizione del premier Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio è pronto, ma non nasconde il fastidio per l’enfasi che è montata attorno a questa storia. «Non c’è – dice Conte ai giornalisti che lo incrociano ad Assisi – nessuna anomalia, è tutto trasparente secondo le ordinarie prassi. Non ho commesso nessuna anomalia, anzi i vertici dell’intelligence non hanno commesso alcuna scorrettezza o anomalia. Se poi volete speculare, speculate. Ma lo state facendo scorrettamente». Quanto a lui, «io non ho mai incontrato nessuno della delegazione americana, ma non posso rispondere a voi prima di aver parlato davanti al Copasir». Venerdì 27 settembre Barr in compagnia del procuratore John Durham, il magistrato incaricato della contro-inchiesta che dovrebbe fare le bucce all’inchiesta sul Russiagate che ha tenuto Trump sulla graticola per mesi, ha incontrato i vertici dei nostri servizi segreti nella sede ufficiale di piazza Dante. Il tutto su autorizzazione del presidente del Consiglio. L’incontro era stato richiesto da governo a governo e Palazzo Chigi ha autorizzato i nostri 007 a incontrare i due americani. Mifsud è accusato da George Papadopoulos, ex collaboratore di Trump, di avere partecipato a una cospirazione (a suo dire orchestrata da Fbi e Cia, gestione Obama) sostanzialmente per inguaiare Trump.
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