Attualità
I populisti italiani odiano la scorta ma ce l’hanno
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2018-09-10
Al meeting di Cernobbio un clamoroso dispiegamento di forze per i ministri del governo Lega-M5S. “Chi paga” ora non lo chiede più nessuno?
«La storia delle scorte pazze è una vergogna tutta italiana. Non si tratta solo di sprechi, si tratta di privilegi e di forze dell’ordine sottratte al loro compito. Quello di difendere i cittadini, non i potenti»: parole (e musica) di Alessandro Di Battista, all’epoca in cui il MoVimento 5 Stelle fustigava i costumi altrui. Eppure, spiega oggi Sergio Rizzo su Repubblica, lo spettacolo dei politici scortati non si è certo concluso con l’avvento del governo gialloverde. Anzi: il meeting di Cernobbio organizzato dal Forum Ambrosetti ha riportato alla mente scene già viste in altre epoche:
Per non parlare della ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, accompagnata da sei (tanti ne abbiamo contati) guardaspalle e seguita fin dentro alla sala dove si svolgeva il convegno a porte chiuse da tre di loro, intenti a osservare guardinghi per tutto il tempo le mosse del gruppo di amministratori delegati, banchieri, manager, opinionisti, osservatori e personalità estere, tutti intenti ad ascoltare e prendere appunti. Disarmati, ovviamente.
Che dire, poi, della sua collega della Pubblica amministrazione, la mite Giulia Bongiorno, avvocata, seguita come un’ombra da un paio di “marcantoni”? Roba da far impallidire, fatte le debite proporzioni, gli apparati dedicati al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, o al reggente presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
E poi, racconta sempre Rizzo, dopo Di Maio e i carabinieri di Pomigliano è arrivato anche Matteo Salvini, la cui autorevole personalità era difesa da ben tre tipi di scorte:
Quello terrestre, con uno spiegamento di blindati e uomini armati agli incroci dell’unica angusta strada che conduce a villa D’Este. Quello aereo, con un elicottero i cui occupanti si assicuravano di tanto in tanto che giù in basso tutto filasse per il verso giusto. E quello acquatico, dove le vedette della polizia erano supportate da agenti in divisa sulle moto d’acqua, attenti a non travolgere con le loro evoluzioni i sommozzatori (sommozzatori!) incaricati di ispezionare i fondali del lago fra l’indifferenza di pesci e papere.
Difficile dire quanti addetti alla sicurezza dei cittadini siano stati impegnati tre giorni consecutivi, in un crescendo travolgente di uomini e mezzi, per «difendere i potenti». Ma a rileggere certi proclami di sobrietà e le denunce indignate di chi ha dichiarato guerra senza quartiere alle vergogne italiane, e poi trovarsi di fronte a un tale tripudio di auto blu, macchine di scorta e pretoriani vestiti di nero, è inevitabile un’amara riflessione. Cioè che il potere rischia di essere sempre uguale a sé stesso, nel caso in cui non si mettano davvero in discussione i suoi codici, i suoi rituali, e anche i suoi ingiustificati privilegi.