Economia
Chi ha ragione tra Renzi e Di Maio sulle pensioni d'oro
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2017-12-16
Tra ieri e oggi è scoppiata una bella rissa tra Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle sulle pensioni d’oro. Facciamo un po’ di conti e vediamo chi ha ragione tra i due
Matteo Renzi e Luigi Di Maio tornano a polemizzare, stavolta sulle pensioni. Rivediamo le varie dichiarazioni alla moviola: ha cominciato ieri mattina il candidato premier del MoVimento 5 Stelle a Radioanch’io su Radio Rai 1, sostenendo che le cosiddette pensioni d’oro peserebbero per 12 miliardi, e grazie alla loro abrogazione si potrebbe cominciare a abolire la legge Fornero.
Chi ha ragione tra Renzi e Di Maio sulle pensioni
Di Maio ha spiegato che M5s, se andrà al governo, mira a “superare” la legge Fornero partendo dai “lavori usuranti”. “E poi vogliamo abolirla gradualmente totalmente” ha aggiunto. Alla richiesta di spiegazioni da parte dell’intervistatore, il leader di M5S ha replicato: “Vogliamo tornare all’età pensionabile che c’era prima della legge Fornero, attingendo dalle risorse sia delle pensioni d’oro che oggi ci costano 12 miliardi di euro“. L’intervistatore ha messo in discussione tale cifra: “Sì, sono 12 miliardi – ha insistito Di Maio – possiamo iniziare dai lavori usuranti poi negli anni successivi abolirla del tutto attingendo dai 50 miliardi di sprechi del bilancio dello Stato che non certifico io ma il centro studi di Confindustria“.
Il MoVimento 5 Stelle stamattina ha precisato che le “pensioni d’oro” sono quelle sopra i 5.000 euro netti mensili e il piano di risparmio di 12 miliardi di euro sarebbe su più anni. La precisazione si è resa necessaria dopo l’attacco mattutino di Renzi, che su Facebook ha scritto: “Se vogliamo prendere 12 miliardi di euro dalle pensioni dobbiamo tagliare a chi prende 2.300 euro di pensione. Ci rendiamo conto? Qualcuno può legittimamente dire che duemila euro di pensione sono una pensione d’oro?”.
I conti delle pensioni (e quelli dei pensionati)
Cominciamo subito con il notare che i conti di Renzi sembrano proprio quelli riportati sull’Huffington Post ieri e che utilizzavano i dati forniti dal Centro studi di Itinerari previdenziali, dicono che per ottenere un risparmio di 12 miliardi bisognerebbe tagliare gli assegni dal valore medio pari a 2.500-2.600 euro mensili.
“Per gli assegni sopra i 5 mila euro netti al mese, i beneficiari sono un po’ meno di 10 mila. Il costo è di 1,8 miliardi”, spiega Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali. Non si arriva alla cifra di 12 miliardi, indicata dal candidato premier grillino, neppure se si abbassa l’asticella. “Per le pensioni sopra i 3 mila euro netti al mese – spiega ancora Brambilla – il costo è di circa 9,6 miliardi dato che i beneficiari sono circa 90 mila”.
Ribaltando la prospettiva, il risultato non cambia. Partendo, cioè, dalla cifra indicata da Di Maio, per arrivare a un risparmio di 12 miliardi di euro bisognerebbe abolire gli assegni che hanno un valore netto intorno ai 2.500-2.600 euro mensili.
Abolire una pensione è possibile?
I numeri sono presi dal quarto rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano pubblicato da Itinerari economici nel 2015. C’è però da segnalare un altro piccolo problema: mentre è discutibile che si possa ridurre una pensione (tagliarla, come dice Di Maio), è certo che è impossibile abolirla completamente e d’altro canto lo stesso Di Maio ha parlato di un taglio e non di un’abolizione. In più, nella sua precisazione successiva il M5S ha parlato di importi netti (e nella tabella sono indicati invece gli importi lordi) e di piano da spalmare su più anni, ovviamente senza specificare quali.
Nel dibattito è intervenuto anche Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro alla Camera: “Dato che la matematica non è una opinione, per recuperare 12 miliardi bisognerebbe azzerare (non pagarle più) tutte le pensioni dai 5.500 euro lordi mensili in su, il cui ammontare lordo annuo corrisponde appunto a quella cifra, incluse le tasse già pagate allo Stato. Poiché l’operazione azzeramento non si può ovviamente fare – prosegue – per risparmiare (in percentuale per ciascuna pensione) un valore di 12 miliardi, bisogna andare a toccare le pensioni di importo molto inferiore dove, di ‘dorato’, non c’è proprio niente. Al massimo abbiamo qualche ‘pensione di bronzo’, perché parliamo di impiegati e operai”. “Suggerisco a Di Maio, al fine di individuare cosa sono le ‘pensioni d’oro’, di adottare almeno il criterio indicativo dei 5.000 euro netti mensili, circa 7.500 euro lordi, vale a dire 14/15 volte il minimo. Da quella soglia in su, che non riguarda sicuramente gli operai, si possono fare operazioni di risparmio dalle quali, però, non si ricavano sicuramente grandi cifre.
I conti della serva pensionata
Con tutta questa indeterminatezza, è impossibile fare calcoli precisi. Il criterio di Damiano, quello dei 7500 lordi che porterebbero ai 5000 netti (ovvero lo stesso precisato stamattina dal M5S), ci permette però di individuare nel computo delle pensioni quali potrebbero essere le classi, ovvero quelle che vanno da 14 volte a oltre 50 volte il minimo. Come si vede, l’importo complessivo della prima delle classi di cui stiamo parlando, secondo Itinerari Previdenziali, è di un miliardo e 295 milioni di euro. Cosa succede sommando tutti gli importi complessivi? Succede che si arriva a una cifra totale tra i sei e i sette miliardi di euro.
Ecco quindi che la soglia dei 5000 euro netti, ovvero dei 7500 euro lordi, copre al massimo la metà del totale dei soldi necessari e non bisogna dimenticare che non stiamo parlando di un’abolizione totale. D’altro canto i conti sono confermati da quelli dell’INPS: in questo pezzo della Stampa di qualche anno fa si spiegava che nel 2011, il 5,2% dei pensionati (861mila persone in tutto), che percepisce un assegno mensile superiore ai tremila euro, ha assorbito in tutto 45 miliardi, vale a dire il 17% della spesa previdenziale. Poco meno di quanto sborsato per i 7,3 milioni di italiani, il 44% del totale, il cui reddito non supera i mille euro al mese. In cifre 51 miliardi in tutto, pari al 19,2% della spesa complessiva. Ma, appunto, la soglia era più bassa di quella indicata dal M5S: 3000 contro 5000. Comunque diversa da quella dei 2000-2500 indicata da Renzi. Da qualsiasi punto di vista la si veda, i conti non tornano. Forse il M5S dovrebbe precisare meglio le sue precisazioni.