Matteo Renzi e il cugino di Martyn Seylmar

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-01-21

«Che il capo di gabinetto del presidente della commissione riunisca tre giornalisti di nascosto e dica ‘ora Renzi deve cambiare…’, a me non va bene. Il capo di gabinetto non può parlare di nascosto e comunque per quanto mi riguarda lo può dire ai suoi cugini», dice il premier a Porta a Porta. Perché questa volta ha ragione

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«Che il capo di gabinetto del presidente della commissione riunisca tre giornalisti di nascosto e dica ‘ora Renzi deve cambiare…’, a me non va bene. Il capo di gabinetto non può parlare di nascosto e comunque per quanto mi riguarda lo può dire ai suoi cugini». Così Matteo Renzi a Porta a Porta, a proposito della polemica con il capo di gabinetto di Juncker Martin Seylmar. Renzi si sta riferendo alla polemica del 18 gennaio nata dalle dichiarazioni pubblicate dalle agenzie di stampa e riferibili a Seylmar, che parlava per mandato di Jean Claude Juncker:

Jean-Claude Juncker era e resta amico di Matteo Renzi ed il miglior alleato dell’Italia. Che però venerdì ha sostanzialmente perso la pazienza a causa di troppi malintesi nati perché Bruxelles non ha un interlocutore per dialogare con Roma sui dossier più delicati. Lo si apprende da fonti europee, che osservano come i problemi di comunicazione con le capitali possono diventare problemi politici.
A mancare sarebbe il dialogo continuo con gli sherpa che le altre capitali inviano sui diversi temi specifici: un metodo di lavoro che permette di smussare gli angoli, come accaduto ad esempio con la Francia che in autunno ha inviato specialisti per “negoziare per settimane” fino all’ultima virgola sulla bozza di finanziaria. A Bruxelles negli ultimi mesi si è invece osservato un vuoto di comunicazione con Roma, vuoto che ha portato a ricostruzioni fattuali fuorvianti tanto sulle banche, quanto sull’Ilva e la flessibilità.

Martin Seylmar
Martin Seylmar, capo di gabinetto di Jean Claude Juncker

«Non faccio le bizzette o le polemicucce perché sono un attaccabrighe, ma dico che per anni abbiamo sempre detto di sì, ma ora voglio dire sì a cose che funzionino per noi e per gli altri», ha aggiunto. «Non sto litigando perché faccio le bizze con Juncker e i commissari europei, ma perché stiamo chiedendo che dopo anni che l’Italia andava in Europa a dire solo sì grazie, l’Italia non è che dice di no, ma fa domande e si fa sentire».

Le due mosse politiche del premier

“A Bruxelles hanno fatto un po’ di battutine sull’Italia pensando di impaurirmi così ho detto, se volete qualcuno più rissoso di me…”, ha poi detto il premier a Porta a Porta a proposito della nomina di Carlo Calenda a rappresentante a Bruxelles. “Calenda è più preparato di me su alcuni dossier, si è fatto sentire difendendo gli interessi delle aziende italiane”, ha aggiunto il premier sottolineando la motivazione del congedo dell’ambasciatore Stefano Sannino, considerato troppo morbido nei confronti di Bruxelles. Intanto ieri l’Huffington Post ha pubblicato un’interrogazione del deputato PD e renziano Nicola Danti che chiama in causa proprio Seylmar:

“In seguito alle indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi il capo di gabinetto del presidente della Commissione, Martin Selmayr, costituirebbe un canale privilegiato di informazione per le cancellerie di alcuni Stati membri, consentendo il passaggio di comunicazioni riservate”. La commissione europea può “assicurare” che Selmayr ha “sempre rispettato, nell’ambito delle sue funzioni, il codice interno di buona condotta amministrativa?”, è la domanda posta da Danti.

L’accusa per niente velata è che Seylmar faccia da “tappo” delle informazioni nei confronti dell’Italia e insieme fornisca maggiori e più dettagliate ad altri Stati. Un’accusa di partigianeria che verrà sicuramente respinta dalla Commissione ma che contribuisce ad accendere gli animi.

Cosa c’è dietro lo scontro tra Renzi e Juncker

Come abbiamo scritto, Renzi si sta progressivamente accorgendo che la sua ambizione politica ha davanti un muro rappresentato dall’austerità. La flessibilità sinora concessa è troppo poca per dispiegare effetti significativi anche se, va detto ad onor del vero, Renzi ha fatto di tutto per sprecarla buttando decine di miliardi in bonus (gli 80 euro, la riduzione del carico fiscale sui neoassunti) invece che puntare sugli investimenti. Nel mentre, le riforme strutturali non stanno dando grandi risultati, come era ovvio aspettarsi. Ma il bubbone più immediato è rappresentato dalla crisi delle banche che ha trovato nel bail-in delle quattro popolari un semplice assaggio. Non è un mistero per nessuno che la situazione è pesante, con 350 miliardi di crediti deteriorati, cioè di mutui e altri prestiti che gli istituti non riescono a farsi rimborsare. A Roma si piange sul latte versato, ricordando che tutti gli altri hanno salvato le proprie banche marce, mentre l’Italia ora ha le mani legate. Le banche italiane ogni giorno perdono qualcosa in borsa. I clienti di quelle più piccole non si fidano più, mentre arrivano lettere della BCE anche alle più grandi come Unicredit. Poco importano le rassicurazioni ufficiali: “ordinaria amministrazione”, dicono dalla BCE. Il sistema bancario italiano è seduto su una bomba pronta ad esplodere ed anche se non esploderà, comunque i crediti deteriorati sono un ulteriore freno all’erogazione di nuovo credito. E Renzi non può farci nulla.Gozi, il suo braccio destro per l’Europa, promette una grande offensiva contro l’austerità. Lo stesso Renzi fa sapere che non mollerà, che l’Italia non va con il cappello in mano e vuole farsi rispettare. Ma se hai le banche a rischio sei già con il cappello in mano di fronte alla Trojka. E l’idea che la Francia possa essere della partita contro la Germania sembra già sfumata. Hollande ha annunciato una serie di misure contro la disoccupazione: sono tutte supply side.

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Le sofferenze delle banche italiane (Corriere della Sera, 19 dicembre 2016)

Per quanto detto gli spazi di manovra politica per Renzi sono pochi. Ma non sono nulli. Il premier italiano deve sperare che in Spagna si formi un governo progressista con PSOE e Podemos. In tal modo potrà contare su un appoggio di un paese significativo dell’eurozona, perché certo Grecia e Portogallo non bastano. Hollande si troverà dall’altra parte, schierato con Merkel, almeno finché non si renderà conto che se l’Italia fallisce, la prima a venire giù è la sua Francia. Il premier dovrebbe anche mettere in conto di arrivare ad uno scontro frontale con Bruxelles nei prossimi mesi. In ogni caso non sarebbe facile, e il pericolo di essere stretto nella morsa dell’asfissia monetaria è concreto, soprattutto se l’Italia dovesse essere costretta a ricorrere alla liquidità di emergenza della BCE. Ma l’Italia, val la pena ricordarlo, non è la Grecia, e non c’è dubbio che se qualcuno mettesse in dubbio la futura presenza del nostro paese nell’area euro, la moneta unica avrebbe i giorni contati. Renzi sarà abbastanza coraggioso per giocare questa partita? Non sappiamo dirlo. Certo è che se non lo fa, la sua carriera politica finisce qui. C’è da sperare che l’ambizione politica dell’ex sindaco di Firenze lo spinga a fare ciò che è giusto.

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