Quantitative Easing: tutto quello che avreste voluto sapere sulla mossa della BCE per salvare l'euro

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-01-21

Domani Francoforte varerà il piano d’acquisto di titoli di Stato. Il bazooka di Draghi potrebbe essere caricato da 500 a 1000 miliardi. Cos’è, a cosa serve e quali effetti avrà la mossa della Banca Centrale Europea

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Domani, nella consueta riunione del giovedì, la Banca Centrale Europea potrebbe ufficialmente varare il suo piano di Quantitative Easing (alleggerimento quantitativo, spesso abbreviato in QE), ovvero l’acquisto di titoli di Stato dell’Eurozona in questo momento incagliati nei bilanci delle banche private, allo scopo di liberarle dal rischio e permettere loro di superare la fase di credit crunch, ovvero di restrizione del credito alle imprese che attualmente contribuisce alla crisi economica europea. La riunione di domani potrebbe essere la più importante da quando Mario Draghi pronunciò le famose tre parole («whatever it takes») che contribuirono a decretare la fine dell’attacco speculativo su debiti sovrani e la tenuta dell’euro. Da quel momento la curva degli spread, ovvero del differenziale tra il rendimento di un titolo di Stato di una nazione X e quello del bond tedesco, ha cominciato una lunga discesa e, sempre in conseguenza, la moneta unica ha cominciato a rivalutarsi rispetto alle altre valute. Purtroppo le economie dell’eurozona non hanno invece risposto in alcun modo agli stimoli, ma anzi alcune hanno tassi di disoccupazione più alti rispetto a quel luglio 2012. Ad oggi il piano di Quantitative Easing non è stato ancora deciso nei dettagli. In particolare ci sono tre punti in discussione: l’importo degli acquisti di titoli di Stato, la suddivisione degli acquisti sulle quote di capitale della BCE, e la ripartizione del rischio. Mario Draghi ha comunicato l’intenzione della BCE di riportare il proprio bilancio a mille miliardi di euro, di fatto stampando moneta. Siccome la cifra convenzionalmente considerata necessaria per arrivarci è di 500 miliardi, questa sembrava essere la prima ripartizione del “bazooka” di SuperMario (quello vero). Allargare il bilancio della banca centrale è un sinonimo di espansione monetaria. Difatti le banche centrali emettono nuova moneta, che è una passività della banca centrale stessa, a fronte dell’acquisto di titoli dai mercati e prestiti alle banche, che costituiscono le attività. In effetti la Bce è l’unica banca centrale ad aver addirittura ridotto l’ampiezza dei suoi bilanci, nonostante la politica monetaria espansiva, in particolare da quando le banche hanno incominciato anticipatamente a restituire i prestiti LTRO nel 2013.

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Le ipotesi di Quantitative Easing (Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2015)

QUANTITATIVE EASING: IL QE DELLA BCE SALVERÀ L’EURO?
Ma a quanto pare si punta a qualcosa di più. Una delle ipotesi sul tavolo dei governatori della Bce prevede l’acquisto di bond per 50 miliardi di euro al mese, dunque 600 miliardi su base annua, secondo il Wall Street Journal che cita fonti vicine al dossier: i dettagli del piano potrebbero comunque cambiare domani quando il progetto verrà esaminato dai 25 membri del consiglio direttivo, ma questo sarebbe un passo in avanti rispetto ai 500 miliardi che sembrava fossero dal primo momento in gioco. Come vedremo, invece, il punto non è il quanto ma il cosa. Decisivo nell’efficacia della scelta di Mario Draghi sarà come verranno ripartiti gli acquisti di titoli di Stato, ma anche – e soprattutto – quali saranno i titoli prescelti per l’acquisto da parte di Francoforte. L’operazione potrebbe riguardare per lo più titoli di Stato dei paesi della zona euro, con rating al di sopra dell’investment grade, lasciando dunque fuori, la Grecia, il Portogallo e Cipro. Se questo scenario si dovesse concretizzare, e la Grecia fosse tenuta fuori dal piano di Qe, lasciando il rischio in capo alle rispettive Banche centrali nazionali, non si può escludere che la Bce possa concedere alla Banca centrale ellenica la possibilità di effettuare acquisti di titoli di Stato, oppure che arrivino nuove linee di finanziamento da Francoforte alle banche greche. Ma prima si deve chiarire il quadro politico del Paese, che questo fine settimana è chiamato alle urne. Il partito dato come favorito è Syriza, la coalizione della sinistra radicale guidata dall’ingegnere 40enne Alexis Tsipras, grande oppositore delle politiche di austerità della Troika. Il Sole 24 Ore ha pubblicato domenica scorsa in un’infografica le ipotesi di Quantitative Easing sul tavolo della Banca Centrale, con le diverse opzioni allo studio. Le ipotesi variano le proporzioni degli acquisti rispetto al totale di titoli di Stato di ciascun paese, o alle quote di capitale in Bce, o alle quote di capitale in BCE ponderate con il rating (ovvero: il giudizio) sui titoli, oppure con l’acquisto di soli titoli AAA. Per ognuna delle quattro ipotesi si immagina un tipo di esborso assai diverso, e ciascuna di queste potrebbe avere un diverso impatto sull’economia dell’eurozona. I tedeschi spingono per il minore quantitativo possibile, mentre Angel Gurria dell’OCSE consiglia a Draghi di andare molto più in là: «Don’t say 500 billion (euros). Just say ‘as far as we can, as far as we need it‘». Anche l’ipotesi di dare in carico alle banche centrali di ciascun paese il programma di acquisti è una richiesta che viene dai tedeschi, convinti che in questo modo si possa correttamente ripartire il rischio tra chi se lo è assunto senza pesare sull’intera eurozona. A ben delineare l’atteggiamento della Germania nei confronti del piano di Draghi è l’intervista pubblicata oggi dal quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt a Juergen Stark, ex capo economista della BCE dimessosi nel 2011 nel bel mezzo di un G7 delle Finanze in aperta polemica con il programma SMP per acquisti su titoli di Stato della BCE, che fu il prodromo al Whatever it takes del luglio 2012. «Le paure di deflazione in base alle quali viene giustificato il QE sono assolutamente esagerate», ha detto Stark. Secondo Stark, oltre che ingiustificato sarà anche inutile dal punto di vista degli obiettivi di politica monetaria: «Non avrà effetto sull’economia reale – ha sentenziato Stark – né sull’inflazione».
MARIO DRAGHI QUANTITATIVE EASING
Il confronto tra i bilanci della BCE e delle altre banche centrali mondiali

 
L’EFFETTO CHE FA IL QUANTITATIVE EASING
Quali sono gli effetti concreti del Quantitative Easing? In primo luogo i titoli di Stato verranno acquistati sul mercato secondario. Con il solo acquisto ci si aspetta un aumento dei prezzi dei bond, e quindi un calo dei rendimenti. Questo calo dovrebbe trascinare al ribasso anche il tasso di interesse dei prestiti alle aziende, che quindi dovrebbero cominciare ad approvvigionarsi più facilmente sul mercato del credito e consentire all’economia maggiori investimenti e una ripartenza che attendiamo ormai da anni. Ci si aspetta che le banche impieghino il denaro che entrerà nelle casse con i prestiti, e non con l’acquisto di altri titoli di Stato. C’è pero un problema di fondo in questo piano, ben evidenziato dal Sole 24 Ore:

La Bce arriva al quantitative easing un po’ tardi, quando le aspettative di inflazione hanno già abbassato i rendimenti dei titoli di Stato. In questo senso i critici – gli stessi che hanno però spinto per ritardare il più possibile l’avvio degli acquisti – hanno ragione. Soprattutto ci arriva un po’ male. È molto probabile che i titoli siano acquistati dalle banche centrali nazionali, per rendere i singoli paesi responsabili. Una scelta pragmatica non priva di ragioni, ma gravida di conseguenze nel lungo periodo: può suonare come un passo indietro in quell’integrazione monetaria che è stato un punto fermo delle politiche dell’Unione e che avrebbe dovuto fare piuttosto progressi ambiziosi, dopo la creazione della vigilanza europea. Il fatto che questa scelta sia il frutto di un compromesso più politico che tecnico in un organismo, la Bce, che dovrebbe agire sulla base di regole trasparenti e non sulla base della discrezionalità dei banchieri centrali può macchiare – più di quanto non abbiano già fatto discussioni e ritardi – la reputazione e la credibilità di un organismo per altri versi efficiente.

Il processo decisionale della Bce è stato infatti segnato dalle divisioni tra gli interessi dei singoli paesi, una situazione che la banca centrale ha sempre cercato di evitare. Dietro l’intera vicenda del quantitative easing si nasconde allora qualcosa che non riguarda Francoforte, ma Berlino, Parigi, Roma, Bruxelles: l’Unione monetaria non ha, da tempo, una leadership che sia in grado di fare progressi con obiettivi di medio periodo: né il benessere precedente la crisi, né le difficoltà della Grande (e lunga) recessione sono riusciti a farla emergere. E allora non si pecca di dietrologia dicendo che tutto quello che è stato congegnato a livello comunitario dal 2009 in poi – il fondo Salva Stati, il six compact la vigilanza bancaria con annesso bail in – avevano come obiettivo quello di contenere gli effetti delle crisi intorno al loro epicentro. La clausola che probabilmente la Bundesbank riuscirà a imporre a Draghi – cioè che il rischio default dei bond sovrani comprati dalla Bce ritorna agli stati emittenti – rientra in questa logica e servirà a ricostituire delle “virtuali linee di confine” finanziarie utili in caso di uscita dall’euro di uno o più paesi. Oltre ad avere chiarezza strategica i “falchi” hanno il vantaggio di una doppia via d’uscita: o l’Unione europea si adegua ai loro dettami, o potranno temporeggiare fino a che l’uscita sia il meno costosa possibile. Un po’ come ha fatto la banca centrale svizzera che ha incamerato le perdite di un franco sottovalutato per scelta finché il prezzo è stato ragionevole per tenere le aziende elvetiche competitive con le concorrenti europee. Quando la posta si è alzata troppo ha sganciato l’euro e quei capitali che prima rimanevano nei forzieri di Zurigo per la segretezza ora ci resteranno perché è l’ultimo porto sicuro che dà rendimenti certi e apprezzabili. Così, anche il bazooka di Draghi potrebbe fallire. Ma non importa: i più lungimiranti hanno già un piano B. Chi rimarrà con il cerino acceso sono altri. Noi, ad esempio.

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