Perché licenziare costa meno (e dovrebbe costare di più)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-10-08

Il combinato disposto della legge Fornero e del Jobs Act rende più conveniente chiudere un rapporto che ricorrere alla CIG. Il governo cambierà le regole nella legge di bilancio

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Licenziare costa poco, troppo poco. Il combinato disposto della legge Fornero, che ha disposto l’eliminazione della mobilità e con essa il contributo per accedere ai licenziamenti collettivi, sostituiti da un ticker di quattro volte più basso, e del Jobs Act di Renzi che ha quintuplicato l’aliquota di accesso alla cassa integrazione, ha avuto il risultato che cacciare un lavoratore conviene più di ieri.  Se prima mettere in cassa un lavoratore anziché licenziare costava 3 mila euro in meno, ora costa mille euro in più.

Perché licenziare costa meno (e dovrebbe costare di più)

Per questo, spiega oggi Valentina Conte su Repubblica, il governo Gentiloni intende chiedere alle imprese uno sforzo aggiuntivo, da inserire nella imminente legge di Bilancio.

Versare un ticket licenziamento più alto dell’attuale, così da finanziare il nuovo assegno di ricollocamento collettivo. Quello che a differenza dell’individuale scatta, nelle gravi crisi industriali, non dopo quattro mesi di Naspi, ma appena il lavoratore entra in cig. Per consentirgli, dopo adeguata formazione, una sistemazione più rapida. L’assegno viene incassato dalle aziende che lo assumono in pianta stabile. A lui resta la metà almeno della cig residua, quella che avrebbe comunque percepito.
La pressione dei sindacati, su questo tema, è forte. Sabato 14 ottobre, nei presidi davanti alle prefetture di cento città, Cgil Cisl e Uil chiederanno tra le altre cose al governo di rivedere sia i costi di accesso alla cig straordinaria, sia il ticket licenziamento. Difficile che Palazzo Chigi possa ritoccare il Jobs Act. Molto più probabile una revisione del ticket.

licenziare costa meno
Quanto costa licenziare (La Repubblica, 8 ottobre 2017)

I numeri d’altro canto parlano chiaro. Fino allo scorso anno le aziende sopra i 15 dipendenti erano tenute a contribuire alla mobilità in due modi: versando all’Inps lo 0,30% dello stipendio lordo di ciascun lavoratore e assicurando, sempre all’Inps, il contributo una tantum all’atto del licenziamento. Il cui importo variava tra le 3 e le 6 volte l’indennità di mobilità (1.168 euro). E oscillante dunque tra 3.500 e 7 mila euro, a seconda della presenza o meno di un accordo sindacale.

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