Perché la Cina è in crisi e le Borse crollano

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-08-24

Pechino rischia di non raggiungere l’obiettivo di crescita del 7% del prodotto interno lordo. I crolli della Borsa di Shanghai e il deprezzamento dello Yuan, oltre al crollo dell’export e alla bolla immobiliare in via di sgonfiamento sono i segnali primari a cui si è aggiunto il dato più inquietante per l’economia del paese, ovvero la discesa ai minimi da sei anni dell’attività manifatturiera. E c’è chi pensa che il governo nasconda i dati

article-post

Dopo tre decenni di crescita a doppia cifra, la Cina rallenta e fa scoppiare il crollo delle Borse nel mondo. Pechino rischia di non raggiungere l’obiettivo di crescita del 7% del prodotto interno lordo e anzi c’è chi pensa che la crescita del Dragone possa essere addirittura dimezzata alla fine dell’anno. I crolli della Borsa di Shanghai e il deprezzamento dello Yuan, oltre al crollo dell’export e alla bolla immobiliare in via di sgonfiamento sono i segnali primari a cui si è aggiunto il dato più inquietante per l’economia del paese, ovvero la discesa ai minimi da sei anni dell’attività manifatturiera.

SVALUTAZIONE YUAN CINA
La svalutazione dello yuan (Il Sole 24 Ore, 13 agosto 2015)

PERCHÉ LA CINA È IN CRISI E LE BORSE CROLLANO
La Cina, vista come il motore della crescita mondiale solo fino a pochi mesi fa, dall’inizio dell’estate sta diventando un problema e rischia di non fare più da traino, innescando crisi a catena nelle vicine economie asiatiche, alimentando fughe di capitali dai paesi emergenti e mettendo in forse perfino la crescita Usa, come dimostrano i dubbi della Fed, che adesso frena sul rialzo dei tassi a settembre, intimorita dalla frenata del made in China e dai suoi effetti collaterali. D’altra parte i numeri parlano chiaro: il made in China ha smesso di correre e questo è diventato un problema per tutti. Nel 2008-09, nonostante la crisi della finanza mondiale, il Pil cinese era cresciuto intorno al 9,5%, nel 2010 e nel 2011 ha accelerato a +10%, poi ha iniziato a perdere colpi: +7,8% nel 2012, +7,7% nel 2013 e +7,4% l’anno scorso, il livello più basso da 24 anni a questa parte. Pechino, che è arrivata a produrre un quarto della ricchezza mondiale, ora, con il suo rallentamento rischia mettere una seria ipoteca sulla ripresa globale, come sta già accadendo con i prezzi delle commodity, azzoppati dal calo della domanda di materie prime da parte delle industrie cinesi. Dietro il malessere del Dragone c’è un problema irrisolto: il passaggio, più volte annunciato ma ancora largamente incompleto da un’economia trainata dall’export a un’economia piu’ legata ai consumi interni. Si tratta di un processo lento, complesso, difficile, ma anche inevitabile. Il paese continua ad attrarre investimenti esteri e può contare su una montagna di riserve valutarie, accumulate negli anni delle vacche grasse. Gli investimenti, che pesano per il 52% del PIL, sono cresciuti ai minimi dal 2000 a causa della crisi del settore immobiliare: il 20% delle nuove case sono rimaste invendute, e adesso la produzione di cemento e acciaio è stagnante. Gli investimenti calano per problemi legati ai finanziamenti. I consumi e il sistema di welfare continuano a essere deficitari. Quest’anno, per la prima volta, le vendite di smartphone in Cina hanno registrato un calo e quelle di auto a giugno mostrano un preoccupante -3,4% annuale, il primo segnale di declino da 2013. A luglio le vendite al dettaglio hanno registrato un +10,5%, percentuale da urlo ma non per la Cina, dove viene archiviata come la crescita più bassa da un decennio a questa parte.

Le riserve e i flussi di capitale nell’economia cinese


I MOTIVI DEL CROLLO DELLA CINA
Gli effetti collaterali del momento sono, come è d’obbligo in un’economia concatenata, conseguenti. L’indice manifatturiero cinese (il China Manufacturing Purchasing Managers, pubblicato dalla rivista Caixin) è sceso 47,1 ai minimi da due anni, un dato che conferma una contrazione dell’economia. Secondo l’agenzia Moody’s il rallentamento dell’economia cinese proseguirà con un Pil del 6,8% per quest’anno, un 6,5% per il 2016 e un 6% atteso per fine decennio. Per questo si pensa che i cinesi stiano nascondendo i veri dati dell’economia, che andrebbe in realtà molto peggio rispetto a quanto pronosticato e preventivato all’inizio dell’anno. Nel frattempo il governo cinese è ricorso alla svalutazione dello yuan. Una mossa che serve a spingere i prodotti cinesi sui mercati esteri, ma che ha anche messo in allarme i mercati mondiali.  Ora la People’s Bank of China ha fissato la parità del cambio con il dollaro a 6,3975. Il rischio è che si apra una guerra delle valute nella quale il vaso di coccio è l’Europa, che d’altronde è ancora in fase di quantitative easing e non può sprecare altre munizioni. La svalutazione cinese ha anche fermato la Federal Reserve, che si stava preparando a un rialzo dei tassi e a un rafforzamento sul dollaro, ma il segnale arrivato da Pechino l’ha costretta ad un rapido dietrofront. Anche la BCE verrà condizionata nelle sue decisioni alla mossa della Yellen. Nel frattempo crolla il prezzo del petrolio. Per la prima volta dal 2009 il Brent è sceso sotto i 45 dollari al barile a Londra, mentre a New York un barile era finito sotto i 40 dollari venerdì alla chiusura delle Borse. Il crollo è dovuto alla scarsità della domanda, che richiede meno materie prime in vista di un ripiegamento della produzione, ma di mezzo c’è anche l’aumento della produzione dell’IRAN. In più non è da sottovalutare anche l’effetto elezioni in Grecia, dopo la decisione di Tsipras di presentare le sue dimissioni e correre per un nuovo mandato.
italia cina
Italia-Cina, gli scambi commerciali (Corriere della Sera, 13 agosto 2015)

L’INTERVENTO CHE NON È ARRIVATO
L’attesa, andata delusa, di un deciso intervento sul mercato della People’s Bank of China, la banca centrale cinese, è alla base del crollo di oggi dei mercati valutari del paese e del resto dell’Asia, secondo i primi commenti degli esperti. Rajiv Biswas dell’Ihs Global Insight ha dichiarato al Guardian che il governo cinese “è intervenuto in modo frammentario. Non c’è stato uno sforzo costante. Sembra che non sappiano cosa devono fare”. Finora nessun commento sui media cinesi. L’agenzia Nuova Cina si limita a registrare le notizie negative. Voci diffuse sui social media affermano che ai direttori dei giornali sarebbe stato ordinato di non usare toni catastrofici, evitando termini come “crisi” e “disastro”. Tutti i commentatori citano il crollo della produzione manifatturiera indicato da dati diffusi venerdì scorso. La sensazione è che un intervento arriverà entro la settimana, forse già oggi o domani. Nell’attesa i mercati navigano a vista. E l’Orso cinese arriva in Europa.
 
 

Potrebbe interessarti anche