Perché i Centri di Identificazione ed Espulsione non sono la soluzione al problema dei migranti irregolari

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-01-04

Costosi, disumani, inutili, eppure il Governo vorrebbe aprirne altri per “risolvere” l’emergenza migranti. A diciotto anni dalla nascita dei Cie (che all’epoca si chiamavano Cpt) il nostro Paese non ha ancora trovato una soluzione per il problema. E allora si rifà a quelle vecchie

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Il Governo ha un’idea meravigliosa per risolvere il problema dell’accoglienza dei migranti: riaprire i CIE. La proposta è stata avanzata dal Ministro dell’Interno Domenico Minniti che vorrebbe aprire un Centro di Identificazione ed Espulsione in ogni Regione. L’obiettivo è quello di velocizzare le procedure di allontanamento dal nostro Paese di tutti i migranti che non hanno diritto ad ottenere l’asilo politico o il riconoscimento dello status di rifugiato. Il problema però è che i Cie non funzionano.

cie centri identificazione espulsione
I Cie attualmente in funzione e quelli che potrebbero riaprire [Fonte La Repubblica del 04/01/2017]

 Cosa sono i Cie e perché sono inutili

La proposta del Ministro Minniti, anticipata da una circolare urgente del Capo della Polizia Franco Gabrielli e giunta dopo i fatti di Cona dove una cinquantina di ospiti del Centro di Prima Accoglienza (Cpa) hanno protestato per diverse ore dopo la morte di Sandrine Bakayoko, piace molto a Forza Italia e alla Lega Nord, meno ad alcuni esponenti del Partito Democratico tra cui la vicepresidente Sandra Zampa che li ha definiti “posti disumani e inutili” e la Presidente di Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani che ha detto che i Cie “sono stati un fallimento“, sulla stessa linea anche il Presidente di Regione Toscana Enrico Rossi che in un’intervista a Repubblica ha detto che “non possiamo riproporre ciò che è già fallito“. I Cie, che hanno sostituito i Centri di permanenza temporanea (Cpt) che sono stati istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco Napolitano (art 12 legge 40/1998) sono i luoghi dove vengono detenuti gli stranieri non comunitari privi di permesso di soggiorno in attesa di essere espulsi dal nostro paese. All’interno di queste strutture gli stranieri – che vengono chiamati “ospiti” anche se di fatto sono sottoposti a detenzione amministrativa – non dovrebbero rimanere per più di 90 giorni ma la detenzione può essere prorogata fino ad un massimo di 12 mesi per lo straniero che “costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” e per il quale “sussiste rischio di fuga”. Ciononostante succede che alcuni ospiti vengano lasciati andare per decorrenza massima dei termini di detenzione. A gestire materialmente i Cie sono delle società e delle cooperative private che hanno ricevuto l’appalto dall’amministrazione pubblica mentre a fornire il presidio di sicurezza esterno – per evitare la fuga degli “ospiti” – sono la Polizia e i Carabinieri. Attualmente in Italia sono operativi sei Centri di identificazione ed espulsione, si trovano a Bari, Brindisi-Restinco, Caltanissetta, Crotone, Roma-Ponte Galeria, Torino-Brunelleschi. Inizialmente i Cie erano quindici ma alcuni sono stati chiusi nel corso degli anni (gli ultimi nel 2015) mentre altri – come quello di Trapani – sono stati convertiti in hotspot un tipo nuovo di strutture di identificazione creati nei luoghi di sbarco dei migranti. La capienza teorica dei sei Cie ad oggi aperti è di 720 unità ma quella effettiva è molto ridotta come si può vedere da questa tabella.

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Fonte: Rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione – febbraio 2016

Strutture disumane e costose che non garantiscono l’effettivo rimpatrio dei detenuti

Oltre a questo i Cie hanno un problema molto più grave. Non solo sono luoghi disumani dove spesso sono scoppiate rivolte che hanno provocato morti e feriti, dove i detenuti in alcuni casi si sono suicidati o sono stati riportati atti di autolesionismo. I Cie semplicemente non assolvono allo scopo per cui sono stati creati, ovvero non sono in grado – da soli – di aumentare il numero delle espulsioni degli immigrati irregolari. Come ricorda Annalisa Camilli su Internazionale se fin dalla loro istituzione i Cie sono stati molto criticati dalle organizzazioni che si occupano di tutela dei diritti umani i Cie non hanno contribuito in maniera rilevante ai rimpatri. Questo perché, come abbiamo spesso sottolineato su Nextquotidiano, le operazioni di espulsione e rimpatrio non solo sono difficili a causa della mancanza di cooperazione e collaborazione dei paesi d’origine degli stranieri ma sono anche molto costose. Scrive la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato nel suo Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione:

Tuttavia, la politica sui rimpatri presenta alcuni elementi di criticità, in quanto non sempre di facile attuazione, considerati i costi altissimi, la necessità del “riconoscimento” dell’autorità consolare del paese di provenienza e i limiti ben precisi per l’uso coercitivo delle misure di rimpatrio fissati dalla direttiva 2008/115/CE1

Le espulsioni inoltre sono nella misura del 50% di coloro che transitano per i Cie, continua il rapporto della Commissione che sottolinea l’inefficacia dell’intero sistema di trattenimento ed espulsione degli stranieri irregolari:

Dal 1 gennaio al 20 dicembre 2015 sono transitati complessivamente nei Cie 5.242 persone di cui 2.746 sono state effettivamente rimpatriate. Ciò significa che il 52% del totale dei trattenuti è stato riportato nel proprio paese. Nel 2014 a fare ritorno a casa in maniera coatta attraverso i Cie era stato il 55%: ovvero 2.771 a fronte dei 4.986 stranieri trattenuti. Nel 2013 ne erano transitati 6.016, dei quali 2.749 rimpatriati, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) che si aggira intorno al 50%. Nonostante gli impegni fissati in sede europea, i dati continuano a dimostrare che la media dei rimpatri effettuati rispetto alle persone trattenute continui ad essere intorno al 50%.

Il problema dei rimpatri è relativo anche al fatto che possono essere effettuati solo verso quei paesi con cui esiste un accordo di riammissione. Al momento sono state formalizzate intese con l’Egitto nel 2007 e con la Tunisia nel 2011 e più recentemente con la Nigeria e il Marocco, la Commissione del Senato presieduta da Luigi Manconi però sottolinea come “risultano non significativi i risultati evidenziati dai dati sui voli di rimpatrio dell’agenzia Frontex in quanto da settembre a dicembre 2015, l’Italia ha rimpatriato 153 persone con voli organizzati in via bilaterale verso l’Egitto e la Tunisia, e 137 persone verso la Nigeria attraverso voli congiunti con gli altri Stati membri attraverso Frontex“. In mancanza di accordi bilaterali con i paesi di provenienza dei migranti non sarà possibile “svuotare” i Cie, e anche in presenza di questi accordi è evidente che manca, da parte dei paesi d’origine, la volontà di farsi carico del problema (come è successo ad esempio con la Tunisia nel caso di Anis Amri).

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