Partite Iva: chi difende i diritti dei lavoratori autonomi?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-07-28

Spesso le Partite Iva sono il livello più basso del precariato. I lavoratori autonomi hanno sempre meno diritti e in pochi sembrano essersene accorti

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Se non fosse che qualcuno potrebbe mandare un accertamento fiscale sarebbe da dire che Partita Iva is the new black. Almeno per quanto riguarda alcune tipologie di contratti di lavoro dove l’apertura di una Partita Iva è la condizione necessaria per poter “essere assunti” (ma di assunzione non si potrebbe parlare) da parte dell’azienda di turno. La moda va avanti da circa un decennio, ma per qualche motivo l’attenzione al mondo del precariato è sempre stata rivolta ai co.co.pro e alle varie forme di contratti per lavoratori atipici e “flessibili”.

regime dei minimi gestione separata partita iva
Le Partite IVA in Italia (La Stampa, 22 dicembre 2014)

IL NUOVO PROLETARIATO
Roberto Ciccarelli sul Manifesto è stato uno dei pochi ad aver parlato delle Partita Iva come di un nuovo proletariato oggi praticamente senza diritti per i quali l’articolo 18 sul quale è stata fatta grande battaglia non esiste (ma anche le tutele in caso di malattia) e un domani quasi sicuramente senza pensione. Nell’opinione comune i precari però sono sempre stati quelli con il contratto a tempo determinato, la collaborazione coordinata e continuativa, quelli che fanno il giro delle agenzie interinali a portare il curriculum e così via. Gli autonomi, che pure rappresentano una fetta consistente del precariato, sono i nuovi lavoratori invisibili. Una volta che – finalmente – i mezzi di comunicazione, un parte della classe politica e pure i sindacati si è sono accorti del “problema” rappresentato dai contratti precari e hanno iniziato seppure in modo molto timido a tutelare i lavoratori atipici. Ma poco o nulla è stato fatto per coloro che hanno una Partita Iva. Nell’immaginario collettivo l’autonomo è il libero professionista che guadagna un sacco di soldi e magari evade pure le tasse. La realtà delle cose è che spesso (e soprattutto per quanto riguarda i giovani) le nuove Partite Iva hanno contratti di tipo parasubordinato e mediamente un autonomo che rientra nella categoria dei lavoratori atipici guadagna meno di un lavoratore dipendente, secondo l’Osservatorio 20 maggioin media soli 723 euro netti mensili, mentre con lo stesso reddito lordo ad un lavoratore dipendente rimangono netti 1.283 euro mensili“. Anche Repubblica qualche tempo fa parlava timidamente degli autonomi come di una nuova categoria di poveri. Sfatiamo quindi il mito che vuole che chi è possessore di una Partita Iva sia ricco o quantomeno benestante. Spesso infatti succede che un lavoratore sia costretto dal datore di lavoro (ops, committente) ad aprirsi una Partita Iva. E questo non lo fanno solo le società che assumono “consulenti” per la vendita porta a porta ma anche e soprattutto le cooperative. È un modo semplice ed efficace per scaricare sul lavoratore i costi del lavoro.
fonte: http://www.tutelareilavori.it/
fonte: http://www.tutelareilavori.it/

LE FINTE PARTITE IVA
Il “Rapporto sui diritti globali 2013” ha fotografato la situazione del precariato e dei lavoratori atipici in Italia: i precari italiani erano 3.315.580 unità con uno stipendio è medio di 836 euro. Una fetta consistente di questi erano (e sono ancora) rappresentati dalle “false partite Iva”. Uno studio condotto da Costanzo Ranci e Lara Maestripieri del Politecnico di Milano rivela che su oltre tre milioni di lavoratori autonomi le finte Partite Iva rappresentano circa il 12% del totale. Sono quindi circa quattrocentomila persone che per il fisco risulterebbero lavoratori autonomi ma che invece hanno un contratto che presenta tutte le caratteristiche e i vincoldi di quello del lavoro subordinato come ad esempio la monocommittenza (che però non è un fattore discriminante) e soprattutto l’obbligo da parte del datore di lavoro di avere un orario e un luogo di lavoro precisi e determinati dal committente. Si tratta di persone nella fascia d’età tra i 30 e i 40 anni, con una discreta esperienza lavorativa alle spalle e spesso un buon livello di istruzione. Autonomi senza alcun tipo di autonomia. Se pensate che queste tipologie contrattuali siano una novità degli ultimi anni siete in errore. Negli ultimi anni semmai la politica (con la legge Fornero) ha preso atto dell’esistenza di queste forme di sfruttamento e ha tentato (tardivamente) di metterci una pezza. L’idea era quella di trasformare le false Partita Iva in co.co.pro. (al grido di battaglia di tuteliamo i lavoratori) ma la “lotta” della Fornero prima e di Poletti poi non ha avuto molto successo. Lo spiega bene Costanzo Ranci sul Corriere:

In realtà, senza una cospicua riduzione dello scudo fiscale il ricorso alle false partite Iva resterà conveniente, e al momento il Jobs Act non prevede alcuna tutela per questi lavoratori, confinati nel girone più basso del lavoro precarioIn realtà, senza una cospicua riduzione dello scudo fiscale il ricorso alle false partite Iva resterà conveniente, e al momento il Jobs Act non prevede alcuna tutela per questi lavoratori, confinati nel girone più basso del lavoro precario

Il Jobs Act di Renzi non ha poi migliorato le cose, per le imprese è ancora conveniente assumere utilizzando il trucchetto della Partita Iva e a quanto pare il rischio è che una parte dei contratti atipici si trasformi proprio in nuove Partite Iva. Come spiega l’Osservatorio dell’Associazione 20 maggio:

La differenza retributiva tra gli iscritti alla gestione separata Inps impiegati nelle diverse forme di lavoro atipico o a partita iva evidenzia che, visti i bassi compensi degli atipici, dal punto di vista del costo del lavoro i contratti precari saranno sempre più competitivi rispetto a quelli stabili. La comparazione effettuata dimostra come non basti agire sul versante del costo del lavoro dei dipendenti per rendere effettivamente competitive le assunzioni a tempo indeterminato rispetto alle altre forme di lavoro in cui i compensi minimi non sono regolati da accordi collettivi.
Inoltre va considerato che, mentre gli sgravi contributivi per le imprese durano solo tre anni, i bassi compensi dei contratti atipici sono costanti nel tempo e sono le aziende unilateralmente a deciderne la quantità effettiva. A questo va anche aggiunto che nel lavoro subordinato, a termine o stabile, valgono tutte le tutele di protezione del lavoro di carattere contrattuale o legislativo mentre nel lavoro atipico o professionale queste tutele per i lavoratori sono praticamente inesistenti. Tutto ciò, ovviamente, fa pendere la bilancia verso una difficile trasformazione in lavoro subordinato dell’attuale lavoro atipico o a partita iva.

Per risolvere il problema va superata l’idea che vede come distinte le varie forme di precariato, dove alcune sono più “degne” di essere difese e tutelate dalle lotte sindacali. Vanno quindi eliminate le barriere culturali di una certa lotta di classe dalla quale gli autonomi sarebbero ontologicamente esclusi. Tutte le forme di precariato sono forme di “lavoro a perdere“. Chi si batte per i diritti dei lavoratori dovrebbe stare con tutti quelli che di diritti ne hanno pochi: oggi le Partite Iva sono quei lavoratori che hanno meno diritti di tutti, ovvero praticamente nessuno.

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