Otto per mille: tutti i soldi che regaliamo alla Chiesa

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-11-03

La Corte dei conti torna a puntare il dito sull’otto per mille. Le cifre in gioco sono enormi e la crescita del 400% incassata dal Cei «fa in parte venir meno le ragioni che giustificano il cospicuo intervento finanziario dello Stato disegnato dall’8 per mille» nel 1990 (allora sostituì risorse che pervenivano dallo Stato alla Chiesa nella misura di circa 200 milioni)

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Mentre impazza l’ennesimo Vatileaks a dimostrare l’incapacità dell’infallibile Papa di scegliersi collaboratori fidati, la Corte dei Conti bastona il meccanismo dell’Otto per Mille che oggi tiene in piedi la Chiesa. Se l’Italia adottassa il modello spagnolo la Chiesa Cattolica incasserebbe la metà dei fondi attualmente derivanti dall’otto per mille, pari ad oltre 1 miliardo di euro nel 2014; l’applicazione del sistema spagnolo per l’Italia “comporterebbe, per la fiscalità generale, un minor esborso annuo per oltre seicento milioni di euro”, emerge dalla relazione della Corte dei Conti sulla gestione dell’8 per mille. In Spagna “la asignacion tributarua prevede la possibilità di attribuire il 7 per mille dell’imposta sul reddito alla Chiesa cattolica”. Tuttavia la normativa è “assai meno favorevole per la Chiesa rispetto al sistema italiano. Infatti il contribuente s’impegna per la percentuale effettiva della propria imposta che, nel caso in cui non venga espressa alcuna preferenza, resta a disposizione dello Stato. Inoltre, l’importo può essere destinato ad altri specifici fini sociali”.

Otto per mille: la Corte dei conti all’attacco

Non accade così in Italia. E la macchina dei fondi sta diventando troppo onerosa per l’Erario, il quale non controlla nulla sull’utilizzo dei fondi. Nella relazione i magistrati dicono che le risorse per la Chiesa sono salite dai 200 milioni di euro del 1990 al miliardo del 2014 (1.054.310.702,82 euro, scrive oggi il Messaggero in un articolo a firma di Roberta Amoruso). Un miliardo e duecento milioni totali di otto per mille, solo 170 milioni allo Stato. Il resto va alle altre confessioni che di fatto sono discriminate: i Valdesi si prendono 41 milioni.

Fino a pochi mesi fa il governo non pubblicava nemmeno le attribuzioni alle singole confessioni, né tanto meno la destinazione dei fondi. Ora il pressing dei magistrati contabili ha portato a qualche miglioramento, seppure timido: da aprile 2015 sul sito del ministero è pubblicata almeno la ripartizione dei fondi.Ma resta ancora nella nebbia il dettaglio dell’utilizzo. Così come rimane il nodo di un eccesso di spot sponsorizzati dalla Chiesa che, ricorda la relazione «rischia di distogliere fondi da finalità proprie».
Le cifre in gioco sono enormi e la crescita del 400% incassata dal Cei «fa in parte venir meno le ragioni che giustificano il cospicuo intervento finanziario dello Stato disegnato dall’8 per mille» nel 1990 (allora sostituì risorse che pervenivano dallo Stato alla Chiesa nella misura di circa 200 milioni).
Il punto, dunque, è che mentre lo Stato si trova costretto a causa della crisi a «ridurre le spese sociali», la quota di Irpef prelevata da 42 milioni di contribuenti «a favore delle confessioni continua ad incrementarsi». La relazione si spinge ad affermare che «il cospicuo intervento finanziario dello Stato disegnato dall’8 per mille ha contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa Italiana».

Ad aggravare la situazione è l’assenza di controlli, a partire da quelli sui fonti destinati al Cei (388.251.190 utilizzati per il sostentamento del clero, i 433.321.320,67 per le esigenze di culto e 245.000.000 per gli interventi caritativi).

quanto costa il vaticano
Quanto costa il Vaticano: l’infografica del Messaggero (22 novembre 2014)

Tutti i soldi che regaliamo alla Chiesa

Come sappiamo, il meccanismo della ripartizione di quote integrando coloro che non optano a favore di nulla finisce per premiare la Chiesa cattolica. Che utilizza i fondi per scopi diversi rispetto a quelli disegnati dalla legge, sospetta la Corte dei Conti anche se senza un rendiconto degno di questo nome sarà impossibile provarlo. Ma quello che colpisce di più, spiega ancora Oscar Giannino sul Messaggero, è l’inerzia dello Stato che da una parte non fa nulla per controllare che l’inoptato non venga girato alla Chiesa nei tanti CAF che fanno le dichiarazioni dei redditi, dall’altro non pubblicizza il suo piano proprio per non infastidire la CEI:

Se lo Stato non si dà da fare con campagne di promozione pubblica per la scelta a proprio favore, e se non raddrizza tutte queste storture evidenti dell’8 per mille, è per non irritare la Cei. Ragione in più, allora, per evitare interventi solo mirati alle gerarchie cattoliche, superando una volta per tutte il regime concordatario e approvando una sola legge generale sulla libertà religiosa (e sui relativi doveri essenziali delle confessioni). Un ordinamento davvero liberale non dovrebbe conoscere distinzioni nelle agevolazioni fiscali concesse ai diversi soggetti ai quali il cittadino contribuente può scegliere di donare: si tratti di religione, sussidiarietà sociale e culturale, o politica. Invece abbiamo un sistema che strapremia la Chiesa cattolica,e che ha introdotto a favore della donazione ai partiti sgravi fiscali multipli di quelli riservati a chi vuole finanziare di tasca propria le università, o i musei, o le misericordie che assistono anziani e malati. Un paese che conta a favore della confessione più forte anche e soprattutto chi non esprime alcuna scelta cioè la maggioranza, e che taglia invece le risorse da destinare a chi invece sceglie esplicitamente questa o quella onlus del terzo settore“civile”. Un Paese,in sostanza,ipocrita: perché finge di rispettare la libera scelta di dono dei suoi cittadini, e in realtà la piega alle convenienze della politica.

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