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Marco Lillo e Matteo Renzi: la vera storia della querela

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-05-17

Ieri l’ex premier aveva ricordato la vicenda di un risarcimento danni ottenuto da l’Espresso, dove Lillo lavorava, per una notizia falsa su di lui. Ecco com’è andata in realtà

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Ieri Matteo Renzi su Facebook, parlando della telefonata tra lui e il padre pubblicata dal Fatto, ha accusato Marco Lillo di aver pagato un risarcimento danni in una causa civile che avrebbe coinvolto il giornalista proprio contro l’ex premier, e di aver preteso una clausola di riservatezza per seppellire la vicenda. Marco Travaglio a DiMartedì ha smentito la storia senza rivelarne però i dettagli.

Marco Lillo e Matteo Renzi: la vera storia della querela

Renzi su Facebook aveva scritto: «Gli avvocati hanno materiali per un risarcimento danni copioso (del resto lo stesso Marco Lillo mi conosce visto che già in un caso ha preteso di mettere una clausola di riservatezza così da non dire fuori se e quanto ha dovuto pagare: fanno sempre così i teorici della trasparenza, altrui). Spero che bastino per pagare i mutui della mia famiglia: perché noi come tutti gli italiani abbiamo i mutui, non le tangenti». Oggi Marco Lillo precisa meglio i contorni della vicenda e spiega com’è andata veramente:

L’Espresso, il 23 dicembre 2008, aveva pubblicato un’inchiesta – sui casi giudiziari del Pd in Italia –a doppia firma: la mia e quella del mio caporedattore. Fu proprio quest’ultimo a chiedermi di occuparmi del partito nelle Regioni del Sud: ne scrissi senza errori e senza problemi legali. Il caporedattore, invece, si occupò del Centro-Nord: trovò una notizia su Renzi, la scrisse e la editò in pagina. Renzi sporse querela. Il collega, molto bravo e solitamente scrupoloso, ammise il proprio errore e mi disse: “Tu non c’entri Marco, riguarda me e me ne occupo io”. Pochi mesi dopo, me ne andai e partecipai alla fondazione de Il Fatto. Non seppi più nulla di quella vicenda e non me ne preoccupai più perché, per compiere il reato, ci vuole il “dolo” e io non ero stato responsabile neppure di una “colpa ”, visto che avevo zero possibilità di verifica e di incidenza su un articolo del caporedattore centrale del giornale in cui ero redattore ordinario.
Nel 2012, mi chiamarono i carabinieri per farmi accettare la remissione di querela di Renzi. Renzi, cioè, mi fa sapere che vuole mollare la lite e mi chiede: accetti? Io dico sì e firmo solo quel foglio. Nessuna transazione tra me e Renzi, nessun patto di riservatezza con lui. Solo oggi ho scoperto che L’Espresso gli ha pagato 22 mila e 500 euro per salvare non me, ma il caporedattore (oggi vicedirettore di Repubblica ). E che Renzi, per mettersi in tasca i soldi, ha accettato un patto di riservatezza che ora sta di fatto violando, anche se il suo amico Carlo De Benedetti non se ne lamenterà

telefonata renzi padre

L’inchiesta de l’Espresso sul Partito Democratico 

Il giornalista autore dell’articolo su Renzi nel 2008 e oggi vicedirettore di Repubblica è Gianluca Di Feo. L’articolo era intitolato “Tangenti Rosse” e arrivava durante la campagna elettorale per il sindaco di Firenze. L’allora presidente della Provincia di Firenze, secondo il settimanale, era “indagato” e “non si sarebbe presentato spontaneamente in Procura, ma sarebbe stato invitato dai Carabinieri”. Tutto falso. Matteo Renzi rispose con una richiesta danni da un milione di euro e all’epoca disse:

“Io non mi incateno da nessuna parte: non è nel mio stile – afferma il Presidente della Provincia, Matteo Renzi – Ma i signori Gianluca Di Feo e Marco Lillo, giornalisti de L’Espresso, risponderanno in tutte le sedi giudiziarie per aver scritto che sono “indagato” nell’articolo, intitolato “Tangenti Rosse, apparso oggi sul settimanale. Chiederemo almeno un milione di euro per i danni”.
“Se è vero che esiste una questione morale per i politici – continua il Presidente Renzi – esiste anche una questione etica per i giornalisti che dovrebbe impedire loro di scrivere falsità. Sono impegnato nella sfida più difficile della mia breve esperienza politica: ho proposto un cambiamento radicale nella politica urbanistica di Firenze già prima dell’inizio dell’indagine giudiziaria. Ho chiesto con grande determinazione di cambiare aria nel Pd. Non posso accettare che qualcuno metta in dubbio la mia moralità e la mia correttezza ”.

marco lillo matteo renzi
Questa è quindi la vicenda a cui si riferiva Renzi e coinvolgeva appunto Di Feo e non Lillo, anche se era coautore dell’intera inchiesta ma non dell’articolo “incriminato”. Quattro anni dopo Renzi e l’editore hanno firmato un accordo per un risarcimento danni con clausola di riservatezza che ieri Renzi ha violato. Lillo, in ogni caso, sostiene che Renzi sapesse che il giornalista del Fatto non era coinvolto nella vicenda perché ne parlarono nel 2012, durante il primo colloquio che ebbero i due. Quindi avrebbe mentito e non si sarebbe sbagliato. E Lillo sostiene di aver conservato la telefonata del loro primo colloquio.

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