L'addio di Roberto Perotti a Renzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-11-10

Il governo cercava di scaricare sull’economista la responsabilità di una spending review ancora una volta incompiuta. Ma lui ha preso cappello prima

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Dopo le voci arriva anche l’ufficialità: Roberto Perotti molla l’incarico di consigliere economico, a titolo gratuito, del presidente del Consiglio con delega sulla spending review. Dopo Piero Giarda nel 2012, Enrico Bondi nel 2013, Carlo Cottarelli nel 2014 anche il professore di economia politica dell’università Bocconi si arrende. A suo avviso, il varo della legge di Stabilità e i segnali dati anche in seguito dal governo indicano che la riduzione della spesa pubblica non è una priorità. «In questa fase non mi sentivo molto utile», ha detto ieri a «L’erba dei vicini» di Beppe Severgnini su Rai3.

Perotti, 57 anni, dottorato al Massachusetts Institute of Technology, docente prima alla Columbia University di New York e poi alla Bocconi, non dev’essere arrivato alla sua decisione facilmente. L’anno scorso aveva accettato di diventare consigliere di Palazzo Chigi solo a condizione che l’incarico fosse a titolo gratuito. Per evitare malintesi sul proprio ruolo, Perotti aveva anche rinunciato a qualunque forma di rimborso: per oltre un anno si è pagato da sé le trasferte ogni settimana da Lecco, dove vive, e l’affitto di un appartamento a Roma. Il suo obiettivo era realizzare il compito che Renzi aveva assegnato a lui e al commissario per la spending review Yoram Gutgeld: trovare dieci miliardi di tagli per il 2016, poi continuare negli anni successivi. In legge di Stabilità però gli interventi previsti valgono ufficialmente appena 5,8 miliardi (o meno, secondo molti analisti privati), e per metà sembrano di efficacia discutibile perché basati sulla compressione temporanea di alcune spese ministeriali.

roberto perotti renzi
La spesa pubblica in Italia e in Europa (10 novembre 2015)

La causa scatenante è stata la presentazione dell’ultima Legge di Stabilità, dove ci sono 6,9 miliardi di tagli alla spesa pubblica di cui due miliardi solo per investimenti:

Nel presentare la legge di stabilità Renzi aveva spiegato che della spending review per il 2016 aveva rinunciato a quattro miliardi di tagli alle deduzioni e alle detrazioni (la materia di Perotti) perché l’addio agli sgravi avrebbe comportato un aumento della pressione fiscale e avrebbe colpito anche associazioni della società civile. Dunque il governo, secondo il premier, si è fermato per non colpire la fiducia all’interno del Paese. Non era questa la versione della spending review emersa fino a quel momento dalle indiscrezioni. L’operazione sugli sgravi progettata a Perotti sembrava impostata in modo diverso: il pacchetto degli interventi proposti valeva 1,5 miliardi (non quattro) e riguardava solo i trattamenti di favore per alcune specifiche categorie di imprese, per poter poi ridurre la pressione fiscale in modo più omogeneo su tutte. Difficile capire se Perotti si sia sentito preso di mira dalle parole del premier. O se abbia avuto l’impressione che il governo cercasse di scaricare su di lui la responsabilità di una spending review ancora una volta incompiuta. Sembra però probabile che, dopo il varo della manovra, l’economista abbia cercato un chiarimento con il premier sul futuro del piano di tagli ora che l’esecutivo deve realizzare nella pratica la riforma della pubblica amministrazione. Certo i due devono essersi trovati su posizioni diverse.

Tommaso Nannicini, altro consigliere economico, è intanto destinato a diventare sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

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