ILVA, l’accordo tra governo e ArcelorMittal e gli esuberi che restano sul tavolo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-12-21

I numeri degli addetti sono legati indissolubilmente ad un altro obiettivo messo nero su bianco nel memorandum: gli 8 milioni di tonnellate annue di acciaio prodotti a regime nel 2023 (oggi siamo intorno a 4). Solo così sarebbe garantita la piena occupazione, ma i dubbi corrono veloci perché secondo i sindacati solo due altiforni (il 4 e il 5, secondo il piano) più i due forni elettrici, a Taranto non basteranno a raggiungere quota 8 milioni

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Ieri  è arrivata la notizia dell’intesa raggiunta tra governo, tramite i commissari ex Ilva, e ArcelorMittal, nell’ultimo giorno utile, quando al tribunale di Milano era in programma la discussione del recesso dal contratto d’affitto dell’acciaieria di Taranto da parte di ArcelorMittal, annunciato a novembre scorso. Il nuovo green deal, l’accordo verde come viene definito nel documento, prevede la nascita di una newco pubblico-privata con la partecipazione dello Stato (si ipotizza una presenza tra il 20 e il 40% tramite Invitalia o Cassa depositi e prestiti). Ma la società sarebbe comunque guidata da ArcelorMittal. Gli investimenti della newco permetterebbero la transizione della fabbrica verso un mix di altiforni e forni elettrici.

ILVA, l’accordo tra governo e ArcelorMittal e gli esuberi che restano sul tavolo

Ma se il preaccordo riaccende la speranza sull’ex ILVA, c’è un problema che riguarda l’occupazione. Nel documento c’è scritto che «il governo è fortemente impegnato a preservare gli attuali livelli di occupazione». Niente di nuovo. Ma il fatto che in calce a questa prospettiva ci sia la firma anche di ArcelorMittal, fin qui irremovibile dalla stima di 4700 esuberi, non è dettaglio banale. Per il leader della Fim, Marco Bentivogli, «non ci sono garanzie di zero esuberi, anche perché la nuova Ilva marcerebbe con due altiforni e due forni elettrici, un mix che non satura la forza lavoro». Spiega oggi Repubblica:

I numeri degli addetti sono legati indissolubilmente ad un altro obiettivo messo nero su bianco nel memorandum: gli 8 milioni di tonnellate annue di acciaio prodotti a regime nel 2023 (oggi siamo intorno a 4). Solo così sarebbe garantita la piena occupazione, ma i dubbi corrono veloci perché secondo i sindacati solo due altiforni (il 4 e il 5, secondo il piano) più i due forni elettrici, a Taranto non basteranno a raggiungere quota 8 milioni.

Di qui gli inevitabili esuberi stimati fra un minimo di 900 e un massimo di 2000, e che verrebbero affrontati con gli ammortizzatori sociali promessi dal governo e con le misure del Decreto Taranto sulla riqualificazione del territorio, compresi sgravi e incentivi ad aziende e lavoratori per il reimpiego degli ex operai Ilva. Da chiarire il destino di quelli oggi in carico all’amministrazione straordinaria.

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Il piano del governo per ILVA (La Stampa, 12 dicembre 2019)

Per il progetto di “decarbonizzazione” verrebbe istituita «una newco finanziata da azionisti pubblici e/o privati al fine di implementare e gestire impianti di produzione di tecnologia verde nel sito industriale di Taranto»: è lo stabilimento del “preridotto” che potrebbe coinvolgere gruppi siderurgici italiani, mentre la Snam che punta alla fornitura del gas si defila da eventuali contributi di equity.

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