Il piano taglia-tasse di Renzi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-07-20

I tre anni di leggi di stabilità monstre che ci attendono, tra clausole di salvaguardia da non far scattare e interventi sul fisco

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Repubblica pubblica oggi un’infografica che spiega come sarà il piano taglia-tasse annunciato l’altroieri da Matteo Renzi, e aggiunge anche il calcolo delle clausole di salvaguardia che il governo si è impegnato a non far scattare nei prossimi anni. Per scongiurare gli aumenti dell’IVa e il taglio delle detrazioni nel 2016 servono infatti 17 miliardi di euro, che Renzi si era impegnato a portare a casa tramite la spending review e i minori interessi sul debito pubblico, a cui oggi si aggiungono anche i 5 per l’eliminazione di Tasi sulla prima casa e Imu su imbullonati e terreni agricoli. Nel 2017 servono altri 25 miliardi di euro per IVA e detrazioni ai quali si aggiunge l’abbattimento dell’aliquota Ires (l’imposta sul reddito delle imprese oggi al 27,5%); nel 2018 invece oltre ai 30 miliardi di euro per le clausole si attende una revisione degli scaglioni Irpef e il bonus di 80 euro ai pensionati. Per quanto riguarda gli scaglioni, ci sono due ipotesi di lavoro: riduzione dell’aliquota tra i 28 e i 55mila euro dal 38% al 35% con detrazioni per i redditi più bassi, oppure riduzione dell’aliquota più bassa e scaglione fino a 15 mila euro dal 23 al 20%.

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Il piano taglia-tasse di Renzi (La Repubblica, 20 luglio 2015)

Spiega Stefano Folli sul suo Punto su Repubblica:

Si dice: è solo un’imitazione di Berlusconi. Che l’apparenza sia questa, è ovvio. Del resto, l’uomo di Arcore era fino a ieri l’unico in Italia ad aver avuto il coraggio di giocare la carta fiscale con totale spregiudicatezza (e con risultati a dir poco deludenti). Oggi Renzi si è impadronito dell’arma atomica, il taglio delle tasse, e l’ha trapiantata a sinistra per la semplice ragione che deve giocare il tutto per tutto. Deve conquistare quei famosi consensi di centrodestra che non vanno a lui, ma a Grillo, a Salvini, magari ancora a Berlusconi, oppure finiscono nel mare dell’astensione. Non c’è più tempo per aspettare. In fondo il premier ha annunciato l’inizio di una lunga, decisiva campagna elettorale e lo ha fatto rivolgendosi agli italiani, non a un partito che egli ama sempre meno.
Si voterà nel 2018, forse. E la rivoluzione copernicana abbraccia appunto tre anni. Ma vale soprattutto l’annuncio dei provvedimenti, la speranza che inneschino un moto di opinione. “Il Pd non è più il partito delle tasse” afferma il premier e in realtà vuol dire che è il “partito di Renzi” a volersi connotare all’americana come movimento anti-fisco. SENZA contare che ai fini elettorali, se il proposito è di prendere voti a Forza Italia e tagliare le unghie a Salvini e compagnia, il semplice annuncio è persino più utile delle misure da approvare. Per quello servono le coperture, il via libera dell’Europa, il treno di una ripresa meno lenta dell’attuale.
Servono le cure del ministro Padoan, i tagli della spesa, la certezza che non finiremo nella trappola delle clausole di salvaguardia (aumento dell’Iva). Invece l’annuncio potrebbe creare- ecco la speranza – quel plebiscito intorno al nome del premier che si realizzò con le europee dell’anno scorso ma poi si è sfarinato nelle difficoltà del governo quotidiano. La rivoluzione fiscale è il colpo di dadi per ricominciare da capo, al di là delle tradizioni, degli errori e degli impacci del centrosinistra. Ma è un colpo di dadi: con tutte le incognite del caso.

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