Il network internazionale dei barconi della morte

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-04-21

Una rete che si occupa dei viaggi dall’Africa Subsahariana all’Europa, con tariffe precise: 500 euro dalla Libia a Roma, 1500 per andare nel Nord Europa. E i legami nei centri rifugiati

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Un network internazionale che si occupava dell’emigrazione, dal trasporto sui barconi fino all’arrivo in tutti i paesi europei. Con tariffe ben delineate e l’unica, comprensibile regola: niente pagamenti posticipati. E un fatturato di 100 milioni di euro. Di questa indagine si stanno occupando i pubblici ministeri siciliani, che hanno scoperto una rete dell’immigrazione clandestina; ieri sono scattati i primi arresti. L’organizzazione smantellata dalla Procura di Palermo aveva la sua base in Libia. Il suo referente in Italia era Ashgedom Ghermay che aveva chiesto asilo politico e ottenuto il permesso di soggiorno temporaneo in attesa della conclusione delle pratiche.

barconi immigrazione
Tappe e tariffe dell’organizzazione (Corriere della Sera, 21 aprile 2015)

 
IL NETWORK INTERNAZIONALE DEI BARCONI DELLA MORTE
La struttura aveva organizzato il viaggio che si è concluso in una delle peggiori stragi del Mediterraneo, quella del 3 ottobre 2013 in cui sono morte 366 persone e almeno 20 erano risultate disperse, dopo che il barcone su cui si trovavano aveva preso fuoco colando a picco poco lontano da Lampedusa. E, per quanto se ne sa, potrebbe anche essere dietro l’organizzazione del viaggio dei 700 morti di domenica. Sono 15 i fermati con l’accusa di associazione a delinquere e favoreggiamento di immigrazione clandestina. Sono tutti eritrei, tranne tre: un ivoriano, un ghanese e un cittadino della Guinea. Nove i ricercati. Tra gli accusati c’è Asghedom Ghermay, cittadino eritreo, con permesso di soggiorno rilasciato in Italia e valido fino al 2019. Qui Giovanni Bianconi riporta una sua conversazione con Ermias, suo socio in affari che all’epoca si occupava dell’organizzazione dei viaggi attraverso l’Africa Subsahariana:

I poliziotti del Servizio centrale operativo hanno intercettato molte conversazioni tra Ermias e Ghermay. Per esempio quelle del giugno scorso, quando Ghermay dice che non può rientrare nel suo Paese «perché ho iniziato un business qui… mi occupo di prendere le persone che arrivano con le barche»; è in questa occasione che Ermias lo recluta nella sua organizzazione. Poco dopo ancora Ghermay comunica all’uomo di Tripoli che «c’è molto movimento e le cose stanno andando bene», sono già arrivate due barche e 1.000 migranti quattro giorni prima, «mentre oggi ne è arrivata una di 1.000 persone ma ancora non so di chi è». Spiega che lui va a prendere i profughi con le macchine a Agrigento o Catania, e «organizza i viaggi per Roma, si fanno pagare 150 euro, di questi lui ne guadagna 50 a persona».

Il sistema è strutturato e rodato:

I trafficanti raccomandano ai clandestini di evitare il fotosegnalamento, ché altrimenti rischierebbero il respingimento dal Nord Europa verso l’Italia. I migranti diventano così «clandestini a tutti gli effetti», che Ghermay e i suoi complici si occupano di far entrare di nascosto nei centri di accoglienza, «coordinandosi telefonicamente per evitare il controllo dell’equipaggio della polizia». Da lì, sempre di nascosto, vengono fatti uscire dopo aver pagato la nuova tratta e accompagnati alle stazioni di pullman o treni per Roma e Milano, dove due distinte «cellule» dell’organizzazione indirizzeranno i profughi verso Svizzera, Germania, Norvegia, Svezia, Olanda o altri Paesi. Nell’attesa, tenendoli nei campi, «i trafficanti riescono a garantire vitto e alloggio a costo zero per gli stessi», accusano gli inquirenti, il che significa a spese dello Stato italiano. Parlando con un interlocutore che abita vicino a Francoforte e si offre di lavorare per lui, Ghermay risponde di essere in grado di «mandare direttamente in Germania per 500 (euro, ndr), mentre in Svezia per 1.100, inoltre li può mandare anche in Svizzera, Inghilterra e Olanda».
 

E i guadagni? Ermias li mette in Svizzera e Israele, Ghermau li tiene in banca oppure investe a Dubai. Parla di 170mila euro incassati da investire in Canada o America.
 
IL BOSS DEI TRAFFICANTI E IL CENTRO RIFUGIATI
Asghedom sta a Catania e si occupa della seconda fase del viaggio dei disperati: li aiuta a lasciare i centri di accoglienza e trova loro alloggi clandestini in attesa di metterli in pullman per il nord Europa, meta finale della loro odissea. Entrambi in cambio dei loro servizi guadagnano fiumi di denaro. Sono violenti, senza scrupoli. Ermias, intercettato dalla polizia che ha scoperto la rete di trafficanti di cui fa parte, descrive i barconi stipati di profughi fino all’inverosimile. A ogni migrante dà un numero, una sorta di codice che comunica ai cassieri dell’organizzazione per tenere la contabilità dei pagamenti versati per ogni fase del viaggio. Sotto di sé ha decine di persone. Tiene i contatti con l’Italia attraverso il suo omonimo. C’era lui dietro alla traversata che ha lasciato in mare 366 vite: il drammatico viaggio conclusosi davanti alle coste di Lampedusa con il naufragio dell’imbarcazione sulla quale i migranti avevano preso il mare. Gli inquirenti hanno contato almeno 15 viaggi verso la Sicilia organizzati da lui: 5000 persone in meno di un anno. Ermias abita nel quartiere di Abu Sa’ a Tripoli, si sposta spesso nei porti di Zuwara, Zawia, Garabulli e gestisce una fattoria dove nasconde fino a 600 migranti. Al telefono parla di contatti con la “polizia libica” e di un “capo” che viaggia spesso in Arabia Saudita. “Quando i viaggi li organizzo io, i viaggiatori partono tutti. Se non riesco ad imbarcarli in un viaggio ce ne sarà un altro pronto a partire l’indomani o tra qualche ora”, dice. Asghedom ha apparentemente un ruolo più defilato. Cura gli aspetti logistici della permanenza in Italia dei disperati ed è a capo della cellula italiana dell’organizzazione. Ha una complice donna che fa parte della comunità eritrea catanese. E’ lei che l’aiuta a rintracciare gli extracomunitari giunti in Sicilia e diretti nel Nord Europa. Può contare su connivenze e coperture nel Cara di Mineo e nel centro di accoglienza di Siculiana. “Ho tanti soldi in banca – dice non sapendo di essere intercettato – ma per ora non li tocco”.
 

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